Benito Mussolini

L'ora e gli orologi

(1920)

 



Nota

Il re degli spacconi e dei voltagabbana, il futuro Cavaliere (di nomina regia) Benito Mussolini strilla e strepita contro l'oppressione dello Stato che tutto fa e tutto decide. Passeranno solo 5 anni per effettuare un ribaltamento totale e affermare solennemente: tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato. (Discorso per il terzo anniversario della marcia su Roma, Milano 1925)

Fonte: Il Popolo d’Italia, 6 aprile 1920.

 


 

La faccenda dell’ora legale che ha suscitato quella illegale (che è poi la legale secondo le leggi dell’universo, interpretate dagli astronomi), è molto seria, più di quanto non appaia a coloro che ci scherzano sopra. Io dico – scusate la solennità di quest’ “Io” – che ci troviamo dinnanzi alla prima grande rivoluzione del popolo italiano contro i suoi reggitori. Non rivolta, ma vera e propria rivoluzione. C’è un decreto dello Stato che rimane lettera – anzi ora – morta. La gente non obbedisce, se ne infischia, misura il tempo alla vecchia maniera o – il che è più carino – non lo misura affatto. L’ora è data dalle stelle di notte, dal sole di giorno e quando non ci sono stelle né sole: dall’intuizione.

… Che ora è? – domandai una notte lontana a un contadino che mi accompagnava alla fiera di Dovadola?
… Guarda la Chioccia – mi rispose levando il capo verso la piccola costellazione: - Sono le tre.

* * *

Lo smacco dell’autorità statale è evidente, pacchiano e quel che più conta, è irreparabile. Come i Croati del ’48 non potevano obbligare i milanesi a fumare, così il governo di Nitti è in istato di pietosa impotenza di fronte a questa insurrezione. Bisogna analizzarla nei suoi moventi complessi. La quasi totalità del cosiddetto proletariato detesta l’ora legale perché è l’ora della guerra. Bisogna ammirare in ginocchio l’eroismo sublime delle turbe tesserate, le quali hanno subito la guerra durante cinque anni e si ribellano, oggi, non correndo – intendiamoci bene! – all’assalto delle bastiglie borghesi, ma rifiutandosi di spostare la lancetta degli orologi!

Molta altra gente non è convinta della utilità dell’ora cosiddetta legale. La questione è controversa. Il campo degli accademici che disputano sull’utilità del provvedimento all’infuori delle passioni politiche, è diviso – come è naturale – in due o forse in tre campi. C’è chi giura che l’ora legale ci fa risparmiare ben cento milioni all’anno, per minor consumo di luce e quindi di carbone; c’ü chi riduce la cifra dell’utile a dieci milioni – cifra, a vero dire, irrisoria, dati i tempi di ipertrofia finanziaria o cartacea – e c’è chi dice che non si risparmia un bel nulla.

Terza tendenza: la nazionalità. Molti individui sono insorti contro il provvedimento partendo da un punto di vista d’orgoglio nazionale. Se – dicono costoro – l’Inghilterra e la Francia non avessero adottato l’ora legale, l’Italia l’avrebbe reintrodotta? Evidentemente, no. Ebbene, è ora di finirla col fare eternamente le scimmie dell’estero. Tanto più che se l’ora legale può avere una qualche utilità nei paesi del nord dove i crepuscoli sono lenti e oscuri, qui da noi la mediterranea chiarità dell’atmosfera riduce al minimo le ore della notte.

Quarta tendenza: la mia. Anch’io sono contro l’ora legale perché rappresenta un’altra forma di intervento e coercizione statale. Io non faccio questione di politica, di nazionalismo o di utilità: parto dall’individuo e punto contro lo Stato. Il numero degli individui che sono in potenziale rivolta contro lo Stato, non già contro questo o quello Stato, ma contro lo Stato in sé, sono una minoranza che non ignora il suo destino, ma esistono.

Lo Stato, colla sua enorme macchina burocratica, dà il senso dell’asfissia. Lo Stato era sopportabile dall’individuo, sino a quando si limitava a fare il soldato e il poliziotto, ma oggi lo Stato fa tutto: fa il banchiere, fa l’usuraio, il biscazziere, il navigatore, il ruffiano, l’assicuratore, il postino, il ferroviere, l’impresario, l’industriale, il maestro, il professore, il tabaccaio, e innumerevoli altre cose, oltre a fare, come sempre, il poliziotto, il giudice, il carceriere e l’agente delle imposte.

Lo Stato, Moloch dalle sembianze spaventevoli, oggi vede tutto, fa tutto, controlla tutto e manda tutto alla malora: ogni funzione dello Stato è un disastro. Disastro l’arte di Stato, la scuola di Stato, le poste di Stato, la navigazione di Stato, i rifornimenti – ahimè - di Stato e la litania potrebbe durare all’infinito.

Ora le prospettive del domani sono raccapriccianti. Il socialismo non è che l’ampliamento, il moltiplicamento, il perfezionamento dello Stato. Lo Stato borghese controlla i nove decimi della vostra vita e della vostra attività; domani lo Stato socialista vi controllerà in ogni minuto, in ogni funzione o movimento: oggi siete obbligati a denunciare il numero dei vostri figli, ma domani vi si costringerà a denunciare anche il numero esatto dei vostri capricci amorosi. Anche l’amore sarà – in regime di Stato socialista – standardizzato, taylorizzato, diagrammizzato a uso e consumo e diletto dei centomila Alessandro Schiavi [socialista, appassionato delle scienze statistiche] che sbocceranno in regime di socialismo di Stato. Se gli uomini avessero soltanto una vaga sensazione dell’abisso che li attende, il numero dei suicidi sarebbe in aumento: si va verso l’annientamento totale dell’individualità umana.

 

Lo Stato è una macchina tremenda che ingoia gli uomini vivi e li rivomita cifre morte. La vita umana non ha più nulla di segreto, di intimo, d’ordine materiale e spirituale che sia: tutti gli angoli sono esplorati, tutti i movimenti cronometrati, ognuno è incasellato nel suo “raggio” e numerato come in una galera. Questa, questa è la grande maledizione che colpì la razza umana negli incerti cominciamenti della sua storia: creare nei secoli lo Stato, per rimanervi sotto, annientata!

Se la rivolta contro l’ora legale fosse il supremo tentativo di rivolta dell’individuo contro la coercizione dello Stato, un raggio di speranza filtrerebbe nell’animo nostro di disperati individualisti. Ma forse non è così. Anche noi siamo votati al sacrificio. Che importa?

Siege oder Niederlagen
Immer gilt es neu zu wagen!
(Vittorie o sconfitte
Occorre sempre osare di nuovo!)

Dice un poeta tedesco, Richard Dehmel (vedi supplemento letterario del Vorwärts, quotidiano del Partito Socialdemocratico Tedesco).

Abbasso lo Stato sotto tutte le sue specie e incarnazioni. Lo Stato di ieri, di oggi, di domani. Lo Stato borghese e quello socialista.

A noi che siamo i morituri dell’individualismo non resta, per il buio presente e per il tenebroso domani, che la religione, assurda oramai, ma sempre consolatrice, dell’Anarchia!

 


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