Materiali sul Mezzogiorno d'Italia


Attività e Volontà

 


 

[1753]  Antonio Genovesi, Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze, Feltrinelli, Milano, 1962

-  "La quinta cagione della ricchezza e potenza d'un paese è l'industria degli abitanti. Questa sola in un terreno piccolo ed infecondo ha potuto molti di poveri ed oscuri popoli far ricchi ed illustri : e per mancanza di lei popolatissime nazioni in fertilissimi terreni poste, ed aventi tutti i comodi del cielo e della terra per lo commerzio, quali ce n'ha molte nell'Asia e nell'Affrica, sono le più disprezzabili e le più miserabili della terra." (p. 253)

-  "... io son certo che se qualche cosa manca all'intiera felicità della nostra patria, quella è la volontà e l'industria nostra, la quale se noi non sappiamo porre in moto ora, che sì belle e sì favorevoli occasioni c'invitano, e che noi possiamo a santa ragione credere che sieno celestiali doni; forse che noi inutilmente le cercheremo un giorno, e piangeremo i mali della nostra vergognosa trascuraggine." (p. 268)

 

[1878]  Renato Fucini, Napoli a occhio nudo, Einaudi, Torino, 1976

-  "Ogni lavoro che li [i plebei napoletani] obblighi lo scansano con ribrezzo, e non vi si adattano finché il bisogno non li abbia presi per la gola. Da questa tendenza della loro indole e dalla scarsità di opifici che potrebbero accogliere quelli che stretti dalla necessità vi si adatterebbero, resulta quella enorme moltitudine di semioziosi, che si danno al lavoro avventizio nei luoghi di maggior movimento commerciale o al piccolo commercio ambulante per le vie della città, tormentando il prossimo in centomila maniere dalla mattina alla sera." (p. 22)

 

[1925]  Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza, Bari, 1980

-  "I gentiluomini napoletani formavano oggetto di meraviglia da parte dei toscani e veneziani e lombardi e uomini di altre parti d'Italia, a vederli trascorrere il tempo in ozio, nei loro circoli o sedili, a chiacchierare e giocare, e per rinfaccio si poneva loro dinanzi l'esempio dei gentiluomini e patrizi altrove così operosi nelle mercature e nelle arti. Ma si levavano per loro, tra i loro concittadini, avvocati difensori, che ribattevano : 'la mercatura dei napoletani esser solo il servizio del re', e rimbeccavano che per buona ventura i gentiluomini napoletani non erano cupidi di lucro fino a trattar di cose vili e ad arricchire con le usure, come gli altri di altri paesi."

-  "I mercatanti, che percorrevano il Regno, erano fiorentini, lucchesi, veneziani, genovesi, catalani; e v'incettavano e ne estraevano grani, vino, olio, formaggi, bestiame, e vi portavano tessuti, armi, lavori in ferro. A Napoli e in altri luoghi si vedono strade e chiese che ritengono ancora i nomi di questi mercanti forestieri; ma non credo che in alcun luogo d'Italia o di altri paesi s'incontri mai una 'loggia' o una 'strada' dei 'napoletani' o dei 'pugliesi'; gli amalfitani che, nonostante le mutate sorti, avevano proseguito i loro traffici, decaddero affatto circa la metà del trecento." (pp. 74-75)

 

[1941]  Vitaliano Brancati, Gli anni perduti, Mondadori, Milano, 1976

-  "Ma io ... ma io preferisco tenere la contabilità di Al Capone, piuttosto che vivere qui da Cardinale!  Cristo Re, qui non riesci nemmeno a distribuire foglietti réclames, perché nessuno è disposto a cavare, per così poco, le mani dalle tasche ... Dopo pranzo, la città è una città morta. I nostri uomini cadono sotto il peso del ventre e rimangono supini per tre ore, aspettando che il masso, sotto cui giacciono, esali le sue coscie di porco, i suoi vini e la sua farina, e ritorni leggero e trasportabile. Questo, a Natàca, lo chiamano chilo!... Tre ore, Cristo Re, tre ore d'inerzia, di notte profonda nel centro della giornata, mentre fuori splende il sole, i treni corrono, e in tutti i luoghi rispettabili del mondo la gente pensa e lavora!..." (p. 104)

-  "Volontà, tu ti appisoli facilmente in queste terre del Sud." (p. 122)

 

[1945] - Carlo Levi,  Cristo si è fermato ad Eboli, Mondadori, Milano, 1969

-  "Tutti i giovani di qualche valore, e quelli appena capaci di fare la propria strada, lasciano il paese. I più avventurati vanno in America, come i cafoni; gli altri a Napoli o a Roma; e in paese non tornano più. In paese ci restano invece gli scarti, coloro che non sanno far nulla, i difettosi nel corpo, gli inetti, gli oziosi : la noia e l'avidità li rendono malvagi." (p. 33)

 

[1956]  Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Bari, 1978

-  "Qui non c'è dignità e non c'è speranza se non si sta seduti dietro un tavolo e con la penna in mano." (p. 112)

 

[1964]  Luigi Barzini, Gli italiani, Mondadori, Milano, 1978

-  "Gli spagnoli ... nutrivano un disprezzo feudale per le occupazioni utili e produttive. Vediamo ancor oggi, in tutto il Sud, che i notabili considerano il non far nulla un segno di distinzione, e l'ozio un simbolo di rango elevato. Vengono chiamati 'galantuomini'." (p. 353)

-  "Non vi è dubbio che alcune di queste caratteristiche signorili spagnole abbiano ritardato o impedito il progresso: la noncuranza o il disprezzo per le realtà pratiche della vita, la preoccupazione per ciò che non è essenziale e per gli altri aspetti esteriori di ogni cosa, la speranza di migliorare la propria condizione non già con le fatiche personali ma con il favore dei potenti, la convinzione che il re (o chiunque prenda il posto del re) debba provvedere a tutto." (pp. 354-355)