Gian Piero de Bellis

Saggi sul post-statismo

Sulle Scienze Sociali come Imbroglio e sugli Scienziati Sociali come Contastorie

(2006)

 


 

Le Scienze Sociali & gli Scienziati Sociali

nell'Età dello Statismo

 

Le origini equivoche
La visione ingannevole
Il ruolo ambiguo
I risultati spregevoli
Il presente disastroso
Il futuro desiderabile
Riferimenti

 


 

"Molta della nostra 'scienza sociale' appartiene ancora al Medio Evo."
(Karl Popper, The Open Society and its Enemies, 1945)

Le origini equivoche (^)


Le scienze sociali, per quanto concerne alcune discipline, il modo in cui sono praticate, gli argomenti di ricerca affrontati e le soluzioni prospettate, sono un risultato diretto della ascesa al potere dello stato e una risposta alle esigenze ideologiche, amministrative e fiscali dello stato.
Ad esempio, la formazione degli stati nazionali diede un impulso notevole a quello che, fino ad allora, era una semplice registrazione di nascite e decessi effettuata dalle parrocchie. La raccolta di altri dati quali, in particolare, quelli della vita economica (commercio, reddito, ecc.) condusse alla introduzione della disciplina nota sotto il nome di "statistica". La denominazione di "statistica" deriva, molto probabilmente, da "status" inteso come situazione personale o come organizzazione politica (lo stato).

In Inghilterra, John Graunt, che è considerato uno dei fondatori della demografia (lo studio quantitativo delle popolazioni) introdusse, con William Petty e altri membri appartenenti alla Royal Society, il termine di "Aritmetica Politica" in riferimento al ragionamento sull'arte del governare basata su cifre. Sotto la voce "aritmetica politica" possiamo intravedere la statistica o l'economia politica; entrambi i campi e i relativi strumenti di analisi furono sempre più assunti sotto le ali ideologiche dello stato e impiegati per fini statali (amministrazione, tassazione, distribuzione del reddito, ecc.). Non sorprende quindi il fatto che uno dei maggiori scritti di William Petty abbia il titolo "Trattato sulle tasse e sui contributi" (1662).

Un'altra disciplina la cui origine e diffusione deve molto all'esistenza e alla crescita dello stato è l'antropologia.
La spinta imperialistica delle elites statali in Inghilterra e in Francia portò alla formazione di due vasti imperi durante la seconda metà del secolo XIX e stimolò molte ricerche su terre e popoli lontani. La curiosità intellettuale per luoghi e culture esotiche promosse la raccolta scientifica di informazioni da parte di alcuni viaggiatori; essa fu progressivamente sostituita dal bisogno di ottenere dati affidabili per governare i nuovi sudditi. Antropologi stipendiati dallo stato furono inviati all'estero per raccogliere tali dati in modo da assistere la macchina amministrativa del nuovo potere.

Anche la ricerca storica e la redazione di testi di storia ricevette un impulso da elites statali ansiose di porre gli storici al servizio della costruzione della nazione, inventando antiche identità nazionali laddove esistevano solo differenti culture locali (tradizioni, idiomi, ecc.).
La connessione genetica tra lo stato e alcune discipline delle scienze sociali non rappresenterebbe un problema e certamente non sarebbe qualificata come equivoca se i legami si fossero limitati allo stimolo iniziale impresso dallo stato a tali discipline e, soprattutto, se lo stato non avesse esteso la sua sfera d'influenza sulle scienze sociali nel loro complesso, con la volontà di porre tutte le discipline al proprio servizio, sotto la sua diretta tutela.

La visione ingannevole (^)

Fino al secolo XVIII, gli amanti del sapere (Leibniz, Voltaire, Goethe, Edward Gibbon, Adam Smith, ecc.) erano individui cosmopoliti portatori di una immagine cosmopolita. Con la formazione degli stati nazionali, gli scienziati sociali hanno ristretto le loro vedute e i loro rapporti, diventando sempre più:

- influenzati e abilitati dal potere statale. Almeno sin dai tempi di Napoleone, con l'istituzione della Università Imperiale, lo stato è intervenuto nella formazione delle elites professionali al fine di riempire i ruoli amministrativi con personale formato direttamente dallo stato. Con l'espansione della scuola di stato, il potere riuscì a controllare ogni settore di apprendimento, decidendo e sovrintendendo riguardo a ciò che doveva essere appreso.
Questo è vero soprattutto per gli scienziati sociali (giuristi, economisti, sociologi, psicologi, ecc.) in quanto molti di essi diventeranno personale statale o lavoreranno seguendo direttive emesse dallo stato. Inoltre, in molti casi essi sono abilitati ad esercitare le loro capacità professionali solo dopo essere stati autorizzati dallo stato
Abbastanza diversa è la situazione per quanto riguarda gli studiosi delle scienze fisiche la cui occupazione è, con maggiori probabilità, al di fuori del settore statale (anche quando le loro ricerche sono finanziate e utilizzate dallo stato). Essi sono di solito maggiormente in contatto con centri di ricerca internazionali e sono soggetti a parametri universali di qualità sia nel corso della loro formazione che durante la loro attività di ricerca.

- basati e orientati sull'idea di nazione. Gli scienziati sociali, essendo impiegati soprattutto dallo stato nazionale (anche quando lavorano all'estero come economisti) sono inclini a sviluppare una visione nazionalista che è anche il risultato di una educazione statale nazionale.

"In linea di massima si potrebbe affermare che tutti gli animali che sono stati posti sotto attenta osservazione si sono comportati in maniera da confermare la filosofia sostenuta dall'osservatore prima di dar corso alle sue osservazioni. Addirittura, i soggetti sotto osservazione hanno mostrato le caratteristiche nazionali dell'osservatore. Gli animali studiati dagli Americani si muovono freneticamente, dando incredibile mostra di febbrile attività e vitalità, e alla fine conseguono il risultato desiderato attraverso il gioco delle probabilità. Gli animali osservati dai Tedeschi stanno immobili a riflettere, e alla fine elaborano la soluzione attraverso un processo di presa di coscienza interiore."
(Bertrand Russell, An Outline of Philosophy, 1927)


Per cui, mentre coloro che praticano le scienze fisiche si basano, nel complesso, su realtà empiriche e sono generalmente motivati dalla soluzione a problemi universali, gli intellettuali delle scienze sociali si basano, in gran numero, su ideologie che non richiedono conferme empiriche e sono motivati soprattutto da quelle che sono le esigenze del potere locale, vale a dire nazionale.
Quando il potere statale ha cercato di influenzare il corso della ricerca e ha tentato di manipolare i risultati in campi esterni alle scienze sociali (come, ad esempio, nel caso Lysenko in Unione Sovietica), ne sono seguiti disastri concreti (ad esempio cattivi raccolti) e discredito teorico da parte della comunità scientifica internazionale.

"La science n'a pas de patrie."
(Louis Pasteur - Parole pronunciate durante il discorso inaugurale per l'apertura dell'Istituto Pasteur, Parigi 1888)


La visione ingannevole degli scienziati sociali è chiaramente espressa dal fatto che, ancor oggi, noi accettiamo come un dato del tutto naturale l'esistenza, ad esempio, di una filosofia francese, mentre sarebbe del tutto ridicolo parlare di una fisica francese o di una chimica francese. Questo non perché non esistano in Francia fisici e chimici ma perché essi sono considerati non solo come facenti parte del mondo scientifico nel suo "complesso ma anche di una scienza mondiale, impegnati in progetti di ricerca che trascendono limiti territoriali, linguistici e culturali.


Il ruolo ambiguo (^)

Il ruolo svolto da una persona all'interno della società è determinato soprattutto dall'istruzione ricevuta e dalle esigenze della situazione, in questo caso le attività che una persona è chiamata ed è disposta a svolgere.
Per la grande maggioranza degli scienziati sociali sia l'istruzione che l'impiego sono sotto il segno dello stato. L'età dello statismo ha accresciuto enormemente il numero degli scienziati e operatori sociali (economisti, psicologi, sociologi, ecc.) assicurando loro uno stipendio.

Gli scienziati sociali sono nella loro quasi totalità:

- formati dallo stato (istruzione)
- autorizzati dallo stato (abilitazione)
- stipendiati dallo stato (occupazione).

"Nel 1962 il governo federale americano ha speso 118 milioni di dollari per sostenere la ricerca nelle scienze sociali. Nel 1963 furono spesi 139 milioni di dollari. Nel 1964, la spesa fu di 200 milioni di dollari. Quindi, nello spazio di solo tre anni le spese federali sono cresciute di circa il settanta per cento - e ciò pur partendo da un livello assoluto già abbastanza alto."
"Anche in paesi piccoli come la Svezia e il Belgio, le spese del governo sono cresciute notevolmente; in Belgio, ad esempio, si è passati da 2.9 milioni di dollari nel 1961 a 4.8 milioni di dollari nel 1964."
" ... è sufficiente sottolineare le caratteristiche generali della nuova situazione: e cioè che si è verificata a livello mondiale una crescita senza precedenti dei finanziamenti alle scienze sociali, finanziamenti basati in larga misura su nuove ampie risorse fornite dal governo."
(Alvin W. Gouldner, The Coming Crisis of Western Sociology, 1970)


Non dovrebbe quindi costituire una sorpresa per nessuno il fatto che gli scienziati sociali provino, nell'insieme, un senso di devozione nei confronti dello stato che è visto come una istituzione indispensabile per la convivenza civile e una forma superiore di organizzazione sociale.
Alcuni di essi potrebbero essere ostili ad un determinato governo o sostenitori di una totale trasformazione della società ma, qualunque sia il loro atteggiamento e le loro convinzioni, lo stato è generalmente ritenuto da essi come l'indiscusso motore di ogni cambiamento e il pilastro di ogni società (presente e futura). L'assenza dello stato è, per essi, equivalente al crollo della società.

Questa devozione verso lo stato, che è il risultato di una dipendenza culturale e materiale, è chiaramente in conflitto con il compito primario di ogni scienziato che consiste nella ricerca e nell'avanzamento della conoscenza. Ciò richiede l'assenza di qualsiasi subordinazione ad un potere esterno perchè esso agirebbe, teoricamente e praticamente, come un ostacolo.
In questo caso specifico, la dipendenza intellettuale (formazione) e materiale (occupazione) degli scienziati sociali nei confronti dello stato (o di istituzioni finanziate dallo stato) rappresenta un macigno enorme sulla strada del conoscere.

Se biologi e fisici fossero istruiti, abilitati e stipendiati da una Chiesa per condurre le loro ricerche, saremmo molto sospettosi dei risultati prodotti in termini di conoscenza (cioè di sapere valido universalmente). Questo non vuol dire che gli scienziati debbano essere svincolati da qualsiasi princìpio etico (o religioso) ma solo che i loro princìpi dovrebbero essere chiaramente esposti e risultare compatibili con la ricerca scientifica e soprattutto non dovrebbero essere imposti dall'esterno da un potere invasivo.
Nel 1960 Loren Baritz scrisse un libro "I servi del potere" in cui criticava aspramente il ruolo degli scienziati sociali pagati dagli industriali per condurre ricerche nelle fabbriche. Nulla di simile, per quanto mi risulta, è stato scritto in tempi recenti riguardo al ruolo degli scienziati sociali come servi dello stato.

La maggior parte di essi sono al servizio di Mammona (il denaro) e del Leviatano (il potere) e non sono per nulla interessati a esplorare la realtà ma solo a rimasticare idee convenzionali e a trasmettere formule obsolete. È molto più probabile che ci si imbatta in idee originali riguardanti la società negli scritti di alcuni romanzieri (Franz Kafka, George Orwell, Aldous Huxley, Albert Camus e molti altri), di studiosi esterni al mondo accademico (da Karl Marx, Frédéric Bastiat, Piotr Kropotkin a Arthur Koestler, Bruno Rizzi, Ivan Illich) e di ricercatori attivi in altri campi (Norbert Wiener, E. F. Schumacher, Matt Ridley) che non in molti trattati di sociologi di professione.


I risultati spregevoli (^)

Gli scienziati sociali e ciò che essi producono sono caratterizzati da tre importanti mancanze:

- mancanza di memoria (ricordi offuscati del passato).
Lo scienziato sociale, come vedremo in seguito in maniera più specifica, non ha una effettiva memoria del passato in quanto egli vede il passato, soprattutto se non esclusivamente, attraverso le lenti ideologiche di qualche studioso d'altri tempi le cui vedute non solo sono accettate in maniera acritica ma sono anche ridotte e presentate a livello di frasi fatte. Questo porta ad una raffigurazione del passato notevolmente distorta, al servizio del potere corrente.

- mancanza di percezione (immagini distorte del presente).
La pigrizia intellettuale dello scienziato sociale, in netto contrasto con l'audacia del fisico e dell'ingegnere, lo trattiene all'interno delle concezioni tradizionali della società, elaborate nei secoli passati, anche quando esse non si applicano alla realtà presente. Questo provoca una interpretazione errata della realtà corrente e l'incapacità di afferrare quello che sta effettivamente avvenendo (ad es. il collasso dell'Unione Sovietica).

- mancanza di orientamento (proposte idiote per il futuro).
I pregiudizi e le autocensure nel corso della ricerca consentono allo scienziato sociale soltanto di ripetere il passato, rendendolo del tutto incapace di presentare soluzioni geniali per il presente e per il futuro. Lo scienziato sociale al giorno d'oggi è solo la cinghia di trasmissione di miti e leggende del potere; egli non è di certo una persona che affronta le situazioni critiche, cioè che individua i problemi e prospetta le soluzioni. Data questa situazione, l'intervento negativo sulla realtà è più a livello teorico che pratico, esattamente come la Chiesa in passato che bloccava l'avanzamento delle conoscenze attraverso la ripetizione stantia di credenze tradizionali erronee. Ciononostante, l'assenza di intuizioni teoriche fertili provoca effetti nefasti sulla direzione e risoluzione delle questioni pratiche.

In presenza di questa situazione, è appropriato sostenere che i risultati prodotti dagli scienziati sociali sono:

- molto poco sociali. Gli scienziati sociali non sono di supporto alla individuazione dei problemi ma, in molti casi, essi li accentuano con palliativi, digressioni, ritardi. Essi, in genere, non hanno il coraggio di andare contro idee tradizionali su cui il loro stato professionale è basato o contro gli interessi consolidati dello stato da cui molti di essi ricevono lo stipendio e i fondi per la loro attività di ricerca.

- nient'affatto scientifici. Gli scienziati sociali non sono per nulla disturbati dal fatto di presentare affermazioni contraddittorie o argomentazioni senza fondamenta la cui presunta forza risiede proprio nell'essere non verificabili e non falsificabili. Quello che è importante per gli scienziati sociali è solo la apparente plausibilità e generale accettabilità delle affermazioni e argomentazioni (almeno all'interno del loro gruppo nazionale). Se lo stesso criterio prevalesse per le scienze fisiche e matematiche non avremmo mai avuto la teoria della relatività, la meccanica quantistica e la geometria non-Euclidea. Il progresso della scienza si sarebbe quindi arrestato da molto tempo e non vi sarebbe più alcuna ragione per condurre qualsiasi attività scientifica.


Il presente disastroso (^)

La situazione attuale delle cosiddette scienze sociali è disastrosa.
L'essere umano dei nostri tempi vive in una realtà culturale dicotomizzata caratterizzata dalla scienza (la conoscenza condivisa del mondo empirico) e dalla pseudo-scienza (le vacuità popolari e alla moda del mondo ideologico). La prima sta innalzando l'individuo verso le vette del miglioramento tecnologico e dell'accresciuto potere personale; l'altra lo sta sprofondando sempre più nei bassifondi dei pregiudizi e delle superstizioni.
La maggior parte di questi pregiudizi e superstizioni che riguardano lo scienziato sociale hanno origine, come è già stato evidenziato in precedenza, dalla sua associazione e sudditanza nei confronti del potere statale. Lo stato ha incrementato il numero degli scienziati sociali (economisti, psicologi, sociologi, ecc.) dando loro impiego attraverso l'espansione della pianificazione economica e dell'assistenzialismo statale. In cambio di ciò lo stato ha richiesto e puntualmente ottenuto che gli scienziati sociali riconoscessero il ruolo di preminenza dello stato e sostenessero l'intervento pervasivo dello stato nella società.
Questo obiettivo è stato conseguito con estrema facilità in quanto gli interessi ideologici e materiali delle elites statali e degli scienziati sociali sono arrivati a coincidere nell'età dello statismo

"Il successo di gran lunga superiore della Teoria Generale di Keynes [rispetto al testo di Hayek del 1931 intitolato "Prices and Production"] ... è dovuto ... al fatto che le argomentazioni del primo portavano ad attuare alcune delle preferenze politiche più forti condivise da una larga schiera di economisti moderni. Politicamente, Hayek andava contro corrente."
(Joseph A. Schumpeter, History of Economic Analysis, 1954)


Lo sviluppo delle scienze sociali che ha portato a questo presente disastroso è stato caratterizzato, almeno per quanto riguarda il secolo passato, da ciò che può essere chiamato:

- Il gioco del telefono senza fili. La teoria nelle scienze sociali ha cercato di progredire soprattutto attraverso un processo comunicativo modellato sul gioco del telefono senza fili, in cui l'informazione proveniente da uno studioso del passato è esaminata in maniera così superficiale e banale che ne esce fuori monca e distorta, pronta per essere interpretata dallo studioso successivo secondo le sue preferenze politiche e culturali e inviata a sua volta, manipolata e sfigurata, per subire lo stesso processo da parte di un altro studioso. Il risultato è che ciò che ne esce alla fine può essere l'esatto opposto di ciò che è entrato all'inizio. Così la "sopravvivenza del più adatto" (Herbert Spencer e Charles Darwin) diventa la sopravvivenza del più forte, "l'insieme non è identico alla somma delle parti" (Emile Durkheim) diventa l'insieme è maggiore o superiore alla somma delle parti; e "la proprietà è un furto" (Pierre-Joseph Proudhon) è, contro le intenzioni dell'autore, impropriamente applicata a qualsiasi tipo di proprietà comunque acquisita. Tutto ciò spiega molto bene perché le scienze sociali non costruiscono e progrediscono in maniera incrementale sulle intuizioni geniali di precedenti studiosi, ma rimangono in una situazione caratterizzata da un groviglio di affermazioni confuse e contraddittorie.

"Sarebbe con tutta probabilità una sorpresa per coloro che non sanno nulla di Proudhon eccetto la sua frase "la proprietà è un furto" apprendere che egli sia stato forse il più vigoroso oppositore del comunismo mai esistito sulla terra. Ma l'apparente incongruenza scompare quando uno legge il suo libro e trova che con la parola proprietà egli si riferisce semplicemente alla ricchezza ottenuta attraverso privilegi legali o al potere di esercitare l'usura, e niente affatto al possesso da parte del lavoratore dei suoi prodotti."
(Benjamin Tucker, 1887)


- La pratica della magia nera. La ricerca attiva nell'ambito delle scienze sociali si limita generalmente a organizzare dati statistici forniti dallo stato, o a intervistare campioni di una popolazione in situazioni e modi estremamente artificiosi. A causa della (in)affidabilità della maggior parte dei dati statistici e della sciatteria con cui sono condotte le interviste ciò equivale a interrogare le stelle riguardo allo stato di un paziente, mentre si recitano formule magiche. Non c'è quindi da stupirsi che, per quanto concerne i problemi sociali, gli scienziati sociali siano credibili quanto uno stregone o un astrologo (e in alcuni casi i leaders politici hanno davvero preferito i consigli di questi ultimi ultimi). Inoltre, stregoni e astrologi possono essere più diretti e precisi sulle azioni da intraprendere rispetto agli scienziati sociali i quali utilizzano parole magiche con significati confusi al fine di colpire le menti e confondere le idee per dare l'impressione, come in una profezia di Nostradamus, che essi sono sempre nel giusto, e tutto dipende dalla 'corretta' interpretazione.
La situazione delle scienze sociali in termini di contributi degli scienziati sociali all'avanzamento della conoscenza è così miserabile è nera che non vi è altra via d'uscita se non attraverso una rivoluzione teorica e pratica di cui possiamo solo elencare alcune esigenze di base.


Il futuro desiderabile (^)

Ciò che sarebbe augurabile e per cui ci si dovrebbe impegnare per far sì che le scienze sociali diventino una componente dello sforzo scientifico è la:

- de-politicizzazione: indipendenza dal potere statale (come da qualsiasi potere esterno che si sovrappone alla scienza) in tutti gli aspetti (ideologia statale, finanziamenti statali, certificazioni statali, ecc.).

- de-nazionalizzazione: indipendenza da grette visioni nazionalistiche (come da ogni restrizione teoretica ed empirica basata su fattori quali il territorio, la razza o simili).

- de-frammentazione: indipendenza da baroni accademici gelosi dei loro interessi professorali e intenti a difendere il loro orticello (come se la ricerca conoscitiva avesse barriere e confini che impediscono l'accesso ai differenti temi di indagine).

"La scienza naturale incorporerà in sé, nel corso del tempo, la scienza umanistica, proprio come la scienza umanistica incorporerà in sé la scienza naturale: ci sarà una sola scienza."
(Karl Marx, Manoscritti economico filosofici del 1844)


Volere un cambiamento nelle scienze sociali equivale a richiedere una trasformazione radicale degli scienziati sociali, con la fine di taluni atteggiamenti e comportamenti che hanno reso il loro ruolo totalmente scadente e inutile se non addirittura dannoso per il progresso dell'essere umano (dal punto di vista morale, culturale, sociale, ecc.).
Ciò che occorre da parte degli scienziati sociali non è altro che:

- La fine degli scienziati sociali come sacerdoti dello stato (pilastri del potere statale nel ruolo di alti dirigenti e piccoli burocrati);

- La fine degli scienziati sociali come propagandisti dello stato (affabulatori per conto del potere statale nel ruolo di accademici e commentatori sociali);

- La fine degli scienziati sociali come pupazzi dello stato (servi del potere statale nel ruolo di intellettuali viziati, separati dalla realtà e dalle persone reali).


"Marx distingueva totalmente la rivoluzione proletaria da tutte quelle di cui la storia serba il ricordo; egli concepiva questa rivoluzione come quella che avrebbe fatto scomparire 'tutta la sovrastruttura di strati che costituisce la società ufficiale' (Manifesto dei Comunisti). Un tale fenomeno comporta la scomparsa degli intellettuali e soprattutto delle loro roccaforti che sono lo stato e i partiti politici. Nella concezione marxista, la rivoluzione è fatta dai produttori che, abituati al metodo di produzione della grande industria, riducono gli intellettuali ad essere soltanto dei commessi che soddisfano il minor numero possibile di bisogni. Tutti sanno, infatti, che tanto più positivamente si valuta la conduzione di una operazione quanto meno vi è bisogno di personale amministrativo."
(Gorges Sorel, La Décomposition du Marxisme, 1908)


Solo dopo un rinnovamento di notevole portata le pseudo-scienze sociali e gli pseudo-scienziati sociali possono cessare di essere ideologie e ideologi occupati a travisare idee e a manipolare individui e diventare scienza e scienziati che promuovono la conoscenza.
Per offrire un contributo in tale direzione è necessario mettere in luce i miti prodotti e disseminati dagli scienziati sociali che hanno infestato le scienze sociali e la scena sociale, simili a camice di forza che hanno ostacolato la comprensione della realtà e il libero sviluppo della conoscenza.

 


 

Riferimenti (^)

[1844] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1970

[1854] Henry David Thoreau, Walden, Norton & Company, New York, 1992

[1887] Benjamin Tucker
si veda: http://www.gmu.edu/departments/economics/bcaplan/def.htm

[1895] Emile Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, Presse Universitaire de France, 1992

[1908] Georges Sorel, La Décomposition du Marxisme
http://kropot.free.fr/Sorel-decomposition.htm
per un estratto si veda: http://www.panarchy.org/sorel/decomposition.1908.html

[1927] Bertrand Russell, An Outline of Philosophy, Routledge, London, 1986

[1945] Karl Popper, The Open Society and its Enemies, Routledge, London, 1995

[1954] Joseph A. Schumpeter, History of Economic Analysis, Allen & Unwin, London, 1986

[1960] Loren Baritz, I servi del potere, Bompiani, Milano, 1963

[1970] Alvin W. Gouldner, The Coming Crisis of Western Sociology, Heinemann, London, 1973