Gian Piero de Bellis

Saggi sul post-statismo

Sulle Scienze Sociali come Imbroglio e sugli Scienziati Sociali come Contastorie

(2006)

 


 

Oltre l'Oscurantismo e l'Idiozia

Oltre l'oscurantismo
Oltre l'idiozia
Un riesame di alcuni concetti e pratiche di base
Libertà
Sviluppo
Conoscenza
Riferimenti

 


 

"Chiedere che gli essere umani abbandonino le illusioni riguardo alla loro condizione equivale ad esigere che una condizione che ha bisogno di illusioni sia essa stessa abbandonata."
(Karl Marx, Critica della Filosofia del Diritto di Hegel, 1843)


Oltre l'oscurantismo (^)

Sulla base di quanto è stato presentato finora, è chiaro che abbiamo raggiunto un punto nello sviluppo della conoscenza da parte delle cosiddette scienze sociali in cui siamo confrontati da notevoli ostacoli che impediscono qualsiasi sviluppo cognitivo. Siamo bloccati in una palude di oscurantismo e di idiozie da cui solo una chiara memoria e una lucida analisi del passato possono indicarci una via d'uscita.
Come già ripetutamente sottolineato, solo quando la presa soffocante del precedente potere pervasivo (la Chiesa Cattolica) fu allentata e alla fine spezzata, le scienze fisiche poterono emergere totalmente rigenerate dando vita ad una crescita continua della conoscenza che non si è ancora interrotta.

Uscire dal chiesismo, con la sua bigotteria e insipienza nelle questioni scientifiche, era il solo modo per far avanzare il sapere. Un fallimento a questo riguardo avrebbe significato rimanere allo stadio delle società pre-scientifiche e pre-industriali, sotto il potere dei sacerdoti e l'influsso di maghi e alchimisti.
Ora siamo confrontati con lo stesso problema, con la sola differenza che coinvolge una diversa sfera della conoscenza (le scienze sociali) e un diverso padrone (lo stato).
Abbiamo quindi bisogno di un nuovo Copernico (e un nuovo Keplero, Galileo, Newton e molti altri) in parecchi luoghi differenti, capaci di rivoluzionare le scienze sociali e i cui slanci creativi oltre il potere attuale (lo stato nazionale o il super stato) possano costituire il preludio per uscire dallo statismo e promuovere, finalmente, lo sviluppo della ricerca sociale a livello di scienza.

Uscire dallo statismo, con le sue idiozie e follie nelle questioni attinenti le scienze sociali, è la condizione indispensabile per l'abbandono dell'oscurantismo e per la fine di ogni sorta di superstizioni. Ciò significa anche liberarsi della presa dei nuovi sacerdoti (gli operatori sociali) e dall'influsso dei nuovi predicatori (gli scienziati sociali) con tutto il loro bagaglio di idiozie falsamente progressiste e furbescamente allettanti.

Oltre l'idiozia (^)

In passato, un modo efficace per ridurre il potere della Chiesa è stato quello di abbassare l'influenza dei suoi agenti alla periferia, e cioè i preti locali.
La Riforma Protestante, sottraendo al clero il monopolio nella interpretazione e discussione dei testi sacri, ha rappresentato il primo passo verso lo spostamento dell'attenzione su ogni individuo in quanto essere responsabile e attivo.

La Rivoluzione Francese, almeno nella sua fase iniziale innovativa e liberatrice, ha rappresentato un passaggio verso l'indipendenza dalle strettoie feudali e chiesastiche, e una lotta per l'attuazione di idee espresse durante l'Illuminismo.

Sfortunatamente, sia la Riforma che la Rivoluzione, mentre liberavano gli individui da un potere assoluto, sono state, in modi diversi, strumentali nel sottomettere gli esseri umani ad un nuovo potere totalitario: lo stato.
Per questo motivo, al fine di superare qualsiasi idiozia abbiamo bisogno di una tensione continua razionale e morale che ci dissuada dal dare il nostro sostegno a qualsiasi nuovo potere (attualmente, lo stato) e a qualsiasi nuovo sacerdote (attualmente, gli intellettuali avidi di potere, disposti anche a vendersi come servi del potere).

In particolare, superare l'attuale stato di idiozia significa fare a meno degli scienziati sociali nella loro veste di servi dello stato. In questa posizione essi si comportano e agiscono come:

- Truffatori sociali. Essi sono i ciarlatani e gli scrocconi dell'età dello statismo.
Nella veste di ciarlatani essi hanno la sfrontatezza di presentarsi come gli esperti in grado di gestire e risolvere qualsiasi problema e difficoltà sociali. Fallendo nel soddisfare le attese da essi stessi generate, per il motivo semplice che nessuno può risolvere dall'esterno, o tanto meno dall'alto, questioni sociali realmente importanti che sorgono dall'interagire degli esseri umani, gli scienziati sociali o manipolano i dati o se la prendono con l'individualismo sfrenato e l'anarchia sociale (considerati da essi peccati e mali imperdonabili), per giustificare i loro fallimenti nel prevedere e nell'agire. Senza il loro nefasto lavoro, il processo di liberazione e di autonomia degli esseri umani sarebbe ad un punto molto più avanzato; ma, in questo caso, anche la credenza nella necessità di scienziati sociali di professione sarebbe notevolmente ridotta.

- Furfanti sociali. Essi sono i filibustieri e gli arrampicatori sociali dell'età dello statismo.
Alcuni scienziati sociali (specialmente coloro con titoli in materie giuridiche ed economiche) hanno raggiunto posizioni di rilievo all'interno dello stato (o all'interno di organizzazioni internazionali basate sugli stati). Da queste posizioni essi diffondono la loro ideologia intrisa di falsità, che sono tanto più grandi quanto più vogliono apparire come i sinceri sostenitori della libertà e i premurosi campioni dei deboli. Essi sono il peggio del peggio, i reazionari "progressisti" che indossano una maschera di comodo per coprire le loro intenzioni subdole e i loro piani nefasti volti alla continuazione delle loro pratiche di sfruttamento e delle loro concezioni alienanti. Essi possono ben essere definiti i mascalzoni dello statismo, alla pari con i furfanti protetti del moderno "capitalismo" a base nazionale.

- Sempliciotti sociali. Essi sono i piazzisti ottusi e vuoti dell'ideologia dello statismo.
Non tutti gli scienziati sociali sono così perversamente astuti e cinicamente sfruttatori come i truffatori e i furfanti sociali. Alcuni sono molto ingenui, come ragazzini nati all'epoca dei computers e dei DVD, che sono del tutto convinti che computers e DVD siano sempre esistiti. Alla stesso modo, questi sempliciotti sono all'oscuro della realtà prima dello stato, ignorano qualsiasi realtà al di fuori dello stato e non possono nemmeno immaginare un'altra realtà al di là dello stato. Essi sono i nuovi scemi di un villaggio diventato globale, i saccentoni della vita contemporanea, coloro che discettano su tutto con la stessa sicurezza ingiustificata di un venditore di pozioni magiche.

Un riesame di alcuni concetti e pratiche di base (^)

Se vogliamo che le scienze sociali conseguano il ruolo e lo status di scienze tout court, gli scienziati sociali in quanto servi dello stato devono scomparire sotto un cumulo di scherno dall'esterno e di consapevolezza interna della propria futilità.
Questo renderebbe possibile andare al di là delle scienze sociali come fogna statale in cui tutti i prodotti disgustosi e puzzolenti dell'attività, passata e presente, dello stato sono trattati, riciclati e resi puri in modo da essere ripresentati al pubblico in una forma abbellita per farli accettare e ingurgitare di nuovo da tutti.
Al posto di questo imbroglio dovremmo porre, come finalità generale e senza vincoli, la Libertà di Sviluppo della Conoscenza.

Tenendo conto del fatto che lo stato, con l'ideologia statale (lo statismo) e gli ideologi e propagandisti statali (gli scienziati sociali come servi dello stato),sono gli ostacoli principali alla Libertà di Sviluppo della Conoscenza e, più in generale alla fioritura della Libertà, dello Sviluppo e della Conoscenza, un piccolo contributo nella giusta direzione potrebbe essere rappresentato dal riesaminare in una nuova luce, non viziata dall'oscurantismo e dalle idiozie dello statismo, proprio i concetti e le pratiche di base concernenti:

- Libertà
- Sviluppo
- Conoscenza

Libertà (^)

"La libertà consiste nell'indipendenza dalla volontà costrittiva dell'altro; e nella misura in cui può coesistere con la libertà di tutti secondo una legge universale, essa rappresenta il solo e unico diritto originario innato che appartiene a qualsiasi essere umano in virtù della sua umanità." (Immanuel Kant)


Idiozie sulla libertà

La manifestazione e affermazione della libertà è connessa al processo di individualizzazione dell'essere umano, e cioè alla formazione di personalità specifiche e distinte capaci di funzionare e operare in maniera autonoma e, al tempo stesso, interessate a relazionarsi con il mondo fisico e umano in modo né subordinato né autoritario.
La libertà è quindi una acquisizione di tipo pratico conseguita in maniera autonoma durante il processo di sviluppo della personalità e che porta all'emergere di esseri umani come individui compiutamente maturi e attivi.

Questa immagine razionale e logica della libertà come autonomia degli individui è stata messa da parte ed è finita nella spazzatura a seguito delle elucubrazioni superficiali e contraddittorie di un giovane alla ricerca di popolarità: Jean-Jacques Rousseau.
È a lui che dobbiamo la brillante idea che la libertà dell'individuo consiste nel conformarsi ad una fantomatica volontà generale. In assenza di un piegarsi volontariamente a questa volontà generale, la persona dovrebbe essere "forzata ad essere libera".
Questa bizzarra idea è stata fatta propria dagli ideologi della Rivoluzione Francese (Robespierre, Saint Just), sistematizzata da alcuni filosofi (Hegel, Bosanquet) e, a partire da quel momento, è stata diffusa così ampiamente e profondamente dagli intellettuali al punto da diventare un pilastro delle credenze popolari.
Le persone sono state ammaestrate a pensare che l'essere forzati ad essere liberi è una scelta altamente progressista e profondamente morale, molto più accettabile del lasciare le persone libere di prendere le loro decisioni, che potrebbero essere molto discutibili o addirittura sgradevoli, come scegliere volontariamente di essere servi di qualcuno.

Per un essere umano indipendente e amante della libertà, l'essere forzati ad essere liberi o l'accettare volontariamente l'asservimento sono entrambe prospettive inconcepibili e da cui non si sente per nulla attratto.
Ad ogni modo, mentre la prima eventualità, sebbene prometta la libertà, porta indubbiamente all'asservimento (la forzata accettazione di una presunta libertà secondo la concezione di un potere esterno), la seconda lascia che la persona decida in piena libertà e non interferisce con le sue libere scelte anche se esse portano alla volontaria rinuncia della libertà.
Paradossalmente è nell'asservimento individuale volontario e non nell'essere tutti forzati ad essere liberi che troviamo davvero attuata la libertà.
Infatti, la libertà non può mai realizzarsi attraverso imposizioni esterne essendo, per definizione, il processo e la pratica di scelte personali autonome.
Include quindi anche la libera decisione di lasciare che altri decidano per noi, ad esempio sottomettendosi liberamente ad una autorità altamente rispettata (come in una congregazione religiosa con i voti di obbedienza al vescovo). Al tempo stesso, la libertà esclude categoricamente e logicamente qualsiasi imposizione, anche se effettuata per il nostro presunto bene.

L'idea che la libertà possa realizzarsi attraverso la forza (e cioè, l'essere costretti ad essere liberi) è quindi una delle più monumentali idiozie mai apparse sulla faccia della terra.
Sfortunatamente è ancora ampiamente condivisa e praticata al giorno d'oggi da persone che si autoproclamano liberatori e la cui missione dichiarata è di portare la libertà in ogni luogo, come ai tempi di Napoleone. Le baionette sono state rimpiazzate dalle bombe ma il compito di introdurre la "libertà" con la forza e di realizzarla con la costrizione è assolto con un fervore non meno ardente.

"Liberté, que de crimes on commet en ton nom!"
(Frase pronunciata da Marie-Jeanne Phlipon, conosciuta come Madame Roland, prima di essere ghigliottinata dallo stato francese durante la Rivoluzione, 1793)


"Noi non ci battiamo per la libertà, noi ci liberiamo. Al giorno d'oggi occorre riconquistare una libertà fondamentale, quella della persona. Noi lo faremo non attraverso procedimenti giuridici e petizioni, né attraverso scioperi simbolici, noi non lo faremo strappando promesse a taluni candidati deputati, candidati all'impotenza. Noi lo faremo opponendoci all'aggressione dello Stato borghese.
Ci ricorderemo degli insegnamenti scaturiti da ciò che è avvenuto: La libertà non la si concede, la si prende."
(Comitato d'Azione, Maggio 1968, Parigi)


Fallacie sulla libertà

Nell'era dell'assistenzialismo statale e dell'uomo-massa, sotto la guida e la tutela dello stato, una nuova concezione riguardante la libertà è stata promossa nelle università e diffusa dai mezzi di comunicazione: l'idea che, nel mondo contemporaneo, la "libertà da" sostituisce la "libertà di" come la vera essenza della libertà reale.

I sostenitori della "libertà da" sostengono la loro tesi iniziando con l'elencare una serie di mali dell'individuo e della società (povertà, ignoranza, violenza, insicurezza, sfruttamento, ecc.) e dichiarano, in maniera abbastanza plausibile e convincente a prima vista, che la vera libertà consiste nell'essere liberi da questi mali (liberi dalla povertà, dall'ignoranza, ecc.).
Quegli intellettuali che si collocano all'interno di questa posizione hanno certamente un compito facile e una facile presa sul pubblico in genere perché è molto difficile per qualsiasi persona essere contro una simile concezione, così pura, onesta e attraente.
Inoltre, dopo decenni di indottrinamento statale e di comfort abbastanza elevato, molte persone hanno iniziato a ritenere che la "libertà dalla insicurezza economica" sia un qualcosa di maggiore valore rispetto alla libertà di imbarcarsi in progetti rischiosi che potrebbero portare, nella peggiore delle ipotesi, alla spiacevole libertà di perdere ogni bene.

Ad ogni modo, se ci imbarchiamo in un esame più approfondito dell'argomento, la "libertà da" così attraente e convincente si rivela per quello che essa davvero è: una fallacia totale che non ha nulla a che vedere con la libertà (eccetto nell'uso del termine) e i cui fini ed esiti dovrebbero essere elencati sotto altre voci quali conoscenza, ricchezza, sicurezza, ecc. ma certamente non libertà.
In altre parole, la libertà dall'ignoranza significa conoscere, la libertà dalla fame significa essere sazi, la libertà dall'insicurezza significa vivere in un ambiente senza pericoli o sentirsi sicuri, e così via. Nessuna di queste cosiddette "libertà da" può essere confusa con la libertà o può significare godimento della libertà, a meno che non vogliamo confondere la materia e trarre in inganno le persone.

Ad esempio, Antonio Gramsci e Nelson Mandela hanno passato in carcere venti anni della loro vita anche se erano entrambi liberi dall'ignoranza (essendo persone abbastanza istruite) o, forse, proprio per questo.
E a pensarci bene, non molti sono più liberi dai morsi della fame dell'ergastolano che sa che ogni giorno, alla stessa ora, egli riceverà il suo pasto dal personale della prigione, oppure la persona che giace gravemente ammalata o invalida in un letto di ospedale, ed è nutrita automaticamente da una macchina e potrebbe essere tenuta in vita per un periodo lunghissimo.
E per quanto riguarda la sicurezza, chi è più libero dai rischi e dai pericoli della vita del malato mentale che è rinchiuso in una stanza con le pareti imbottite o è rigidamente ristretto da una camicia di forza perché non si faccia male in alcun modo?

Per cui, come mostrato da questi esempi, la tanto celebrata "libertà da" è soltanto un ingannevole imbroglio, messo in atto da scienziati sociali "progressisti" che operano in stretto contatto con i governanti statali al fine di portare le persone a credere di essere libere mentre sono tenute al guinzaglio, e questo per il solo fatto di essere anche grassi e pasciuti.

"L'accettazione cosciente delle difficoltà ha sempre distinto la vita dell'uomo da quella degli animali domestici: galline pecore giornalisti-ufficiosi pappagalli e simili."
(Ignazio Silone, La scuola dei dittatori, 1938)


"Michelangelo, attuando i precetti della psicologia, avrebbe dovuto seguire le raccomandazioni del padre ed entrare nel commercio della lana, risparmiandosi quindi una vita di preoccupazioni continue, sebbene ciò avrebbe significato lasciare la Cappella Sistina senza alcun dipinto."
(Ludwig von Bertalanffy, General System Theory, 1968)


Una volta che abbiamo sbarazzato il campo da questa fallacia, è possibile trattare il problema della libertà in termini razionali e non semplicemente emotivi. Ci rendiamo allora conto che la cosiddetta "libertà da" presuppone (cioè si basa) sulla "libertà di". Il altre parole, la "libertà da" dovrebbe essere il risultato della "libertà di", vale a dire della libertà di ognuno e di tutti di agire in maniera autonoma e volontaria in vista del proprio benessere fisico e psicologico, se ciò è quello che una persona vuole e nelle maniere in cui essa lo vuole.

"La sola libertà che merita tale nome è il perseguire il proprio bene a modo proprio."
(John Stuart Mill, On Liberty, 1859)


Noi possiamo parlare di libertà in relazione alla conoscenza, alla sicurezza, alla prosperità e così via solo quando questi obiettivi sono il risultato della libera attività dell'individuo (libertà di agire per il perseguimento della conoscenza, della sicurezza, della prosperità). Altrimenti, affermare che uno è libero dall'ignoranza, dall'insicurezza, dall'indigenza, dovrebbe essere preso solo come un modo di dire; infatti, in tutti i casi sopra menzionati l'uso dell'aggettivo libero non è né rilevante né appropriato per un discorso sulla libertà. Allo stesso modo potremmo parlare di una persona che è libera da problemi di cattiva digestione, e lo faremmo in riferimento al suo metabolismo e allo stato del suo intestino e non certo alla sua condizione personale di libertà o di mancanza di libertà.

In ogni caso, la posizione idiota della "libertà da" sostenuta anche da persone ben intenzionate, è totalmente assurda se la liberazione dai mali non è il risultato conseguito da esseri umani che godono della "libertà di" agire, muoversi, sperimentare. In altre parole, se non è il risultato della libertà.

Ambiguità sulla libertà

Gli scienziati sociali hanno utilizzato la parola libertà in una modo molto inappropriato, opponendola scorrettamente o associandola falsamente ad altri concetti e pratiche.

Per quanto riguarda antitesi errate abbiamo, ad esempio:

- Libertà contro uguaglianza.
In tempi anche abbastanza recenti studiosi di politica hanno scritto saggi nei quali essi raffiguravano la lotta politica degli ultimi secoli come uno scontro tra i sostenitori della libertà (promossa dai ceti alti) e i sostenitori dell'uguaglianza (promossa dai ceti bassi). Oltre a precisare che questa visione non corrisponde, in moltissimi casi, al vero, è necessario sottolineare che non vi è una opposizione intrinseca tra la libertà e l'uguaglianza se entrambi i concetti sono presi in un senso appropriato. Il che vuol dire che la libertà non è certamente lo spintonarsi e calpestarsi a vicenda e l'uguaglianza non è sicuramente l'essere identici l'uno all'altro.

"La libertà positiva in quanto auto-realizzazione implica la piena affermazione dell'unicità dell'individuo."
"L'unicità del proprio io in nessun modo contraddice il principio di uguaglianza. La tesi che gli esseri umani nascono uguali implica che tutti condividono le stesse qualità umane fondamentali, che essi condividono sostanzialmente la stessa sorte degli esseri umani, che tutti hanno le stesse aspirazioni inalienabili alla libertà e alla felicità. Inoltre significa che la loro relazione è di tipo solidale, non di dominio-sottomissione. Quello che il concetto di uguaglianza non significa è che tutti gli esseri umani sono identici."
(Erich Fromm, Escape from Freedom, 1941)


- Libertà contro sicurezza.
In tempi recenti gli scienziati sociali, istigati dagli uomini politici, hanno sbandierato nuovamente la contrapposizione familiare tra la libertà e la sicurezza. Ci viene detto, in maniera molto "autorevole" che per garantire la sicurezza dobbiamo accettare una restrizione alla libertà di ognuno. Nella realtà dei fatti, la restrizione non coinvolge i governanti statali i quali hanno (o meglio si concedono) mano libera nello sbarazzarsi della libertà di tutti gli altri. E questo non preannuncia nulla di buono non solo per la libertà ma anche per la sicurezza delle persone comuni, come è stato mostrato più e più volte dagli avvenimenti della storia.

"Coloro che sarebbero disposti a cedere libertà fondamentali per ottenere un po' di sicurezza temporanea non meritano né l'una né l'altra." (Benjamin Franklin, 1759)


Per quanto riguarda associazioni false abbiamo, ad esempio:

- Libertà e democrazia.
Almeno fin dai tempi di Tocqueville, gli scienziati sociali sono stati messi in guardia riguardo all'aspetto tirannico costituito dalla democrazia rappresentativa basata sulla maggioranza. Nonostante ciò, molti di loro, del tutto ignari dei suoi tratti autoritari e dispotici, continuano a discettare di quanto meravigliosa sia la democrazia e continuano a sostenere la falsa associazione tra democrazia e libertà. Gli eventi storici non danno sostegno a questa associazione ed infatti la pratica della democrazia attraverso il processo elettorale ha rappresentato la fonte di casi mostruosi di soppressione della libertà (ad esempio, l'ascesa al potere del Partito Nazional Socialista in Germania nel 1933 come partito di maggioranza relativa). Ad ogni modo, anche se consideriamo tali fatti soltanto come istanze estremamente negative di un meccanismo generalmente benefico (cioè, il processo democratico), è necessario far notare che equiparare la libertà con la possibilità di scegliere i propri padroni (chiamati rappresentanti) una volta ogni tanti anni, riduce il concetto di libertà ad una realtà estremamente deprimente e avvilente.

"Che cos'è dunque una maggioranza se non un individuo che ha opinioni e assai di sovente interessi contrari ad un altro individuo che si chiama la minoranza? O, se ammettete che una persona rivestita di ogni potere possa abusarne contro i suoi avversari, perché non ammettere che la stessa cosa possa avvenire per una maggioranza? Le persone, riunendosi, cambiano forse di carattere? Diventano più tolleranti di fronte agli ostacoli diventando più forti? Per quanto mi riguarda, ho difficoltà a crederlo; e il potere di intervenire su tutto che mi rifiuto di concedere a uno solo dei miei simili, non lo concederei mai ai molti."
(Alexis de Tocqueville, De la démocratie en Amérique, vol. I, 1835)


- Libertà e moralità.
Coloro che associano la libertà con la moralità rendono (volontariamente o involontariamente) un disservizio ai sostenitori della libertà perché sovraccaricano il concetto di aspetti etici che non sono (intrinsecamente e necessariamente) parte di esso. Infatti, la libertà non è un valore finale, essendo essa solo una potenzialità ad agire che potrebbe portarci a commettere anche azioni di cui potremmo pentirci o a vivere in uno stato vegetativo di totale inattività. Per cui, se associamo la libertà con la moralità potremmo finire per condannare la libertà perché ha portato a commettere azioni malvagie o non è stata in grado di far compiere gesti altamente raccomandabili.
La libertà non è quindi un valore assoluto ma solo una pre-condizione assoluta per la realizzazione di valori attraverso scelte personali. Sono le scelte che sono moralmente deplorevoli o accettabili, non la libertà di effettuare scelte riguardanti la propria vita. Infatti, è solo attraverso la libertà che possiamo perseguire/realizzare o no i valori. Per cui, senza la libertà l'idea stessa di perseguire/realizzare valori perde senso e l'essenza stessa della nostra umanità è minacciata.

"Colui che cerca nella libertà qualcosa d'altro che la libertà stessa è nato per essere uno schiavo."
(Alexis de Tocqueville, L'Ancien Régime et la Révolution, 1856)


"La libertà è l'opportunità di agire, non l'azione in sé stessa."
"Se, pur avendo il diritto di muovermi da una stanza all'altra, preferisco evitare ciò e rimanere seduto immobile a vegetare, non sono per questo reso meno libero."
(Isahia Berlin, Four Essays on Liberty, 1969)


La libertà come concetto e come pratica

Avendo sfrondato il termine "libertà" di alcune idiozie, fallacie e ambiguità prodotte e diffuse dagli scienziati sociali nella loro veste di ideologi dello statismo, cerchiamo di caratterizzare in modo chiaro che cosa è la libertà come concetto e come pratica.
Lo faremo evidenziando alcuni degli aspetti principali della libertà, vale a dire quello che essa è e quello che non è.

- La libertà intesa come essere lasciati indisturbati (essere indipendenti)
Un tratto basilare della libertà che però è spesso trascurato è la condizione di essere lasciati soli, indisturbati da chicchessia, qualora e quando così uno desideri. Quando, nel 1846, Thoreau si ritirò nel bosco per costruire la sua capanna e vivere a diretto contatto con la natura e totalmente auto-sufficiente, si imbatté nell'ufficiale delle tasse e fu arrestato per il suo rifiuto di pagare una specifica imposta. Egli non voleva essere parte di una società il cui governo accettava la schiavitù ed era impegnato in una guerra di conquista territoriale contro il Messico. Ma egli non era libero di agire in tal modo; non era libero di essere lasciato in pace, per conto suo. Da allora in poi gli interventi dello stato nella vita degli individui si sono moltiplicati fino al punto che, se giustamente includiamo questa condizione (l'essere lasciati indisturbati) tra quelle che caratterizzano un essere libero, non molte persone al mondo sarebbero definite tali. Al giorno d'oggi il Grande Fratello è dappertutto e dove c'è il Grande Fratello sopravvivono solo bambini soggetti a lui e alle sue prepotenze. Non esistono più liberi esseri umani.

"La libertà consiste, dal punto di vista politico, economico e anche religioso, nell'essere lasciati in pace."
(F.S.C. Northrop, The Logic of the Sciences and the Humanities, 1947)


- La libertà intesa come comportarsi nel modo desiderato (essere differenti)
L'individuo libero e indipendente è, molto probabilmente, una persona che desidera sviluppare le sue qualità specifiche in una maniera abbastanza originale. Questo significa, dal punto di vista dei principi generali, vivere e lasciar vivere ognuno a modo proprio, secondo i propri desideri e progetti. Ad esempio, praticamente tutti i più grandi artisti, incluso Leonardo, erano persone in movimento, che si spostavano da un luogo all'altro in base alle loro inclinazioni e alle loro voglie di esplorazione. Se la prima persona creativa fosse stata fermata e gli fosse stato impedito di entrare nel villaggio vicino perché il suo idioma o il suo accento erano differenti o perché si comportava in una maniera insolita, staremmo ancora a vivere nelle caverne, mangiando carne cruda e comportandoci tutti alla stessa maniera, come bruti più o meno incivili. Questo non è accaduto perché l'ingegnosità e la tenacia di alcuni esseri umani ha sempre trovato una via d'uscita dalle strettoie e dalle limitazioni. Però, la formazione degli stati nazionali, con le loro scuole e le loro leggi statali, ha rappresentato il tentativo più forte di rendere tutte le persone che vivono all'interno di certi confini artificiali, identiche tra di loro (identità nazionale) e nemiche l'uno dell'altro (ostilità verso i cosiddetti "stranieri"). Inutile dire che l'identità imposta contrasta totalmente con la libertà di essere differenti ed è soltanto un'altra forma sottile di soppressione della libertà.

- La libertà intesa come agire in maniera originale (essere intraprendenti)
La libertà è o potrebbe rivelarsi, in taluni casi, un affare rischioso, soprattutto quando le persone iniziano a sperimentare nuovi modi di organizzare la propria vita. L'intera esistenza dell'individuo può essere sconvolta (nel bene o nel male) da questi esperimenti. Inoltre, le vite di molti possono essere trasformate dalla libera circolazione di nuove idee (ad esempio la filosofia dell'Illuminismo) e la libera adozione di nuovi strumenti tecnologici (ad esempio, la stampa a caratteri mobili). Proprio per questo motivo, ogni potere insiste pesantemente sui concetti di sicurezza, protezione, controllo delle frontiere, regolamentazione minuziosa, per evitare cambiamenti (soprattutto quelli che vengono dall'esterno) che potrebbero compromettere la sua presa sulle persone. Chiaramente i governanti statali non sono molto favorevoli alla libertà delle persone intraprendenti; perciò raffigurano in termini spaventosi l'insicurezza che proviene da quello che essi chiamano un "eccesso" di libertà e presentano, con abbellimenti vari, la sicurezza derivante dal conformarsi al modo di vita dominante. Purtroppo, coloro che vogliono sbarazzarsi degli aspetti rischiosi della libertà non sono a favore di una versione dolce e rassicurante di essa, ma solo di un tipo di servilismo idiota e avvilente.

“Un essere si considera indipendente soltanto quando è padrone di sé, ed è padrone di sé soltanto quando è debitore a sé stesso della propria esistenza. Un uomo che vive della grazia altrui, si considera come un essere dipendente.”
(Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del '44)


Gli scienziati sociali, quasi tutti predicando ardentemente e promuovendo attivamente la regolamentazione, l'integrazione e la protezione sociale (si badi bene, nella loro terminologia, sociale = statale), hanno fatto a pezzi il concetto stesso e la pratica della libertà. In altre parole, hanno gettato via la vera essenza della libertà personale a favore della servitù statale. Considerando che la libertà è il pre-requisito essenziale per lo sviluppo, è interessante vedere che cosa hanno fatto gli scienziati sociali anche riguardo a questo concetto.

Sviluppo (^)

Idiozie sullo sviluppo

Il concetto di sviluppo è una idea potente che si applica a ogni tipo di realtà del mondo vivente, sia essa una persona, una comunità, un ecosistema.
Gli aspetti comuni che sono presenti in tutte queste realtà rendono il concetto di sviluppo ricco e plurifunzionale.
Questa generalità e vitalità del concetto e della pratica dello sviluppo è quasi totalmente trascurata quando gli scienziati sociali parlano di cosiddetto sviluppo sociale.
A meno che non siano psicologi cognitivi tipo Piaget, la maggior parte degli scienziati sociali automaticamente intendono sviluppo sociale come sviluppo economico o, più precisamente, crescita economica espressa attraverso un incremento del Prodotto Nazionale Lordo.

In questo atteggiamento mentale trovano espressione molte convinzioni errate sostenute dagli scienziati sociali, quali, ad esempio, l'equazione individuo = società = stato (per cui se lo stato riceve fondi di assistenza questo equivale a dare risorse ad un individuo per il suo sviluppo); e l'attribuire una importanza eccessiva alle realtà economiche (economicismo) come se esse rappresentassero la base e l'indicazione più sicura per lo sviluppo.
Tutto ciò alimenta idiozie sullo sviluppo, soprattutto nei sui aspetti economici, che vale la pena evidenziare.
Il concentrare l'attenzione su alcune idiozie economiche (e in seguito sulle fallacie e sulle ambiguità di tipo economico) non dovrebbe però far sorgere, in alcun modo, l'idea che lo sviluppo è esclusivamente (o anche solo principalmente) un problema economico. Al contrario, questa credenza si è rivelata del tutto falsa ed è qui considerata come l'errore principale della maggior parte degli scienziati sociali che si occupano di sviluppo.

Per fare solo un esempio, questa posizione erronea sostiene che il trasferimento di risorse monetarie ai governanti statali delle società sottosviluppate rappresenta una condizione necessaria per avviare un processo di sviluppo. Ma, anche una rassegna storica superficiale rivela che questo trasferimento di denaro, come aiuto finanziario a fondo perduto o come prestiti a basso interesse, rappresenta un ostacolo gigantesco allo sviluppo in quanto mette in moto una dinamica di:

- Corruzione al vertice
La maggior parte dell'aiuto finanziario va ai governi statali ed è usato per pagare la burocrazia che dovrebbe attuare i cosiddetti progetti di sviluppo che non si concretizzano quasi mai in qualcosa di utile. Non c'è da stupirsi di ciò perché, fino a quando i fondi per lo sviluppo saranno convogliati verso la burocrazia statale non vi è nessun interesse a breve termine nel promuovere lo sviluppo mentre ve ne sono parecchi a bloccarlo di modo che i fondi continuino ad arrivare. Questo è il circolo vizioso della compassione esterna che alimenta la corruzione interna e porta all'inazione generalizzata.

- Inazione alla base
Anche se parte di quei fondi arriva fino alla base della piramide sociale il risultato è di mantenere gli individui più vitali che non hanno ancora abbandonato il paese (i possibili imprenditori locali) in una situazione di dipendenza soddisfatta e di quieta ottusità. Questa dipendenza dall'aiuto è funzionale alle élite al potere, dappertutto nel mondo, perché blocca o ritarda l'emergere di nuovi concorrenti verso posizioni di potere politico ed economico (nuovi imprenditori e leader attivi all'interno delle regioni arretrate del mondo).

In altre parole, con le loro idee e pratiche riguardo lo sviluppo, gli scienziati sociali si comportano in realtà come i sostenitori perfidi di un mondo bloccato, i dispensatori di sogni riguardo lo sviluppo che hanno prodotto invece gli incubi della criminalità statale e dell'asservimento di massa.

Fallacie sullo sviluppo

Le idiozie che sono state poste dagli scienziati sociali a fondamento di molti discorsi sullo sviluppo sono rafforzate dalle molte fallacie che sono state prodotte e si sono accumulate una sull'altra. Esse sono così tante che è quasi impossibile elencarle tutte. Esaminiamo allora solo le più assurde tra esse:

- Lo stato come motore dello sviluppo
Una organizzazione può predisporre condizioni favorevoli allo sviluppo o abbattere ostacoli allo sviluppo ma non può generare lo sviluppo essendo questo una trasformazione/evoluzione personale e diretta degli individui e delle loro relazioni reciproche. Ma, a parte ciò, è necessario sottolineare che lo stato ha agito, in generale, come una forza negativa, impedendo lo sviluppo in tutti quei casi in cui le persone si incamminavano in una direzione sfavorevole agli interessi di potere dei governanti statali (il che avviene in ogni situazione di vero sviluppo), in altre parole ogni qualvolta gli individui promuovevano la loro personale emancipazione.

- Il protezionismo come condizione essenziale per lo sviluppo
L'idea che un sistema chiuso può iniziare e continuare a svilupparsi è totalmente assurda in quanto lo sviluppo richiede una varietà/pluralità di scambi tra entità libere attraverso ambienti aperti. La cura e la crescita di un organismo, di una idea, di un progetto, in vista del suo sviluppo, non hanno nulla a che vedere con il viziarlo, proteggerlo totalmente o peggio isolarlo dal mondo circostante. Il risultato di ciò sarebbe una entità dipendente e debole, che rappresenta l'antitesi totale di un essere sviluppato e autonomo.

- I termini di scambio ineguali come motivo del sottosviluppo
Oltre a considerare il commercio internazionale (specialmente le importazioni) come deleterie per lo sviluppo e a raccomandare quindi il protezionismo, gli scienziati sociali hanno indirizzato le loro critiche ai termini di scambio ineguali tra il mondo industrializzato e i paesi sottosviluppati. Essi avrebbero fatto meglio a concentrare la loro attenzione sul livello molto ridotto di scambi tra le due aree, determinato soprattutto dalle politiche statali. Quelle politiche sono caratterizzate da una assenza considerevole di libertà nel commercio mondiale che ha falsato tutti i termini di scambio e ha confinato, per lunghi periodi, i produttori a basso costo fuori della portata della maggior parte dei consumatori, in molte parti del mondo.

- Le multinazionali come ostacolo allo sviluppo
Questa è un'altra fallacia originata dall'adesione a un sistema chiuso, sostenuto dai governanti statali nazionali in combutta con produttori monopolistici nazionali, entrambi impauriti dalla possibilità di interventi esterni. L'obiettivo è quello di un controllo totale esercitato dall'alto su qualsiasi aspetto della realtà fino ad arrivare a bloccare ogni possibile sviluppo non gradito al potere. Questo tipo di controllo non porta certo all'insediamento di imprese produttive, e di certo non favorisce la localizzazione di società multinazionali; per questo motivo, la paura delle multinazionali come fattori negativi per lo sviluppo è spesso ingiustificata in quanto quasi nessuna di esse è presente in realtà economiche molto arretrate o rigide (a meno che non foraggi la cricca al potere dello stato nazionale e, in tal caso, si pone sotto la diretta protezione dei governanti nazionali e si comporta, essenzialmente, come una impresa nazionale).

- Il circolo vizioso della povertà come causa del sottosviluppo
L'espressione 'circolo vizioso della povertà' significa che le persone sono povere perché sono intrappolate in una catena di condizioni negative che si rinforzano l'una con l'altra (ad esempio: povertà - malnutrizione - cattiva salute - mancanza di energia - bassa produttività - povertà), e da cui non vi è fuoriuscita a livello personale a meno di un intervento dall'alto (pianificazione statale) o dall'esterno (aiuto economico). Il corso della storia (inclusa la realtà contemporanea) non porta esempi per sostenere una visione così desolata, altrimenti la vita di ogni essere umano oggi sarebbe ancora identica a quella dei primi abitanti, considerato che, a quei tempi non esisteva né la pianificazione statale né l'assistenza economica dall'esterno. Contrariamente a questa posizione, il processo di sviluppo è stato generalmente avviato da persone che si sono sollevate per merito e sforzo loro da una condizione difficile, evitando di essere schiacciati dal tallone del potere, chiunque esso fosse (signore feudale, invasori, gerarchia ecclesiastica, ecc.).

- L'accumulazione di capitale come condizione per lo sviluppo
Come corollario alla precedente fallacia abbiamo l'idea che occorre accumulare un ingente capitale per avviare un processo di sviluppo economico. Questo non è affatto vero se esaminiamo alcuni casi esemplari presi dalla Rivoluzione Industriale, in cui molti laboratori di produzione, che sarebbero diventate grandi industrie, sono stati avviati da piccoli proprietari agricoli (Josuha Fielden, Jedediah Strutt, David Dale), apprendisti, (William Radcliffe, Joshia Wedgwood) o semplici lavoratori (come Richard Arkwright, il barbiere), con risorse del tutto esigue. Il laisser-faire e il laisser-passer sono le condizioni per lo sviluppo economico, non la quantità di oro conservata in un forziere o depositata in una banca. I governanti statali nelle realtà arretrate hanno a disposizione notevoli somme di denaro (grazie alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale) ma non sono affatto inclini al laisser-faire e laisser-passer per le persone loro soggette.

Alcune di queste fallacie, che hanno avuto ampia risonanza e ascolto in passato, sono state semplicemente abbandonate perché eventi successivi hanno mostrato che esse erano solo costruzioni ideologiche prive di fondamento empirico, semplici castelli in aria inventati da fantasiosi scienziati sociali per esaltare o giustificare i loro padroni e il loro pubblico nei cosiddetti paesi arretrati o avanzati. Ciononostante, alcune di esse continuano a circolare seppure in una forma più soffusa. In alcuni casi esse sono state soppiantate (o integrate) da una valanga di ambiguità, il che rappresenta la reazione normale degli scienziati sociali quando la loro posizione ideologica inizia a sbriciolarsi.

Ambiguità sullo sviluppo

L'incapacità congenita e manifesta delle cricche statali di promuovere lo sviluppo ha portato alcuni scienziati sociali ad assumere una posizione più liberale e meno statalista sull'intera questione. Ma questo passaggio sta avvenendo con così tanti equivoci e pensieri distorti che, alla fine, posizioni completamente contraddittorie risultano essere sostenute contemporaneamente.
Ad esempio, alcuni intellettuali cosiddetti progressisti che sostengono la libertà di commercio e di circolazione delle persone, si sentono in dovere di aggiungere che ogni cosa deve essere compiuta con correttezza (fairness). Questa richiesta del tutto innocente e condivisibile, e cioè l'agire correttamente, significa in realtà che ogni cosa deve rimanere sotto il controllo pubblico (vale a dire, il controllo statale) altrimenti si comprometterà la posizione di qualcuno. Considerando che l'appello alla correttezza proviene di solito da intellettuali che vivono nei paesi ricchi, il "qualcuno" che essi intendono salvaguardare sono i ricchi produttori e i lavoratori super-protetti che vivono nei paesi già sviluppati e che non hanno proprio l'intenzione di aprire i loro pascoli ai nuovi venuti.

E allora, gli ultra-reazionari intellettuali autoproclamatisi progressisti, assistiti dal circo mediatico, hanno inventato la minaccia idiota compendiata dall'espressione "corsa verso l'abisso" ("race to the bottom") che si pretende risulti da pratiche scorrette di sviluppo economico (e cioè bassi salari, protezione sanitaria inesistente sul luogo di lavoro, eccessiva etica del lavoro, ecc.). Essi volutamente ignorano che queste sono state le condizioni iniziali di ogni lavoratore all'avvio di qualsiasi processo di crescita economica che ha contribuito allo sviluppo. Per quanto riguarda la scorrettezza insita in questa dinamica, certamente lo sviluppo in quanto "ascesa dal basso" è stato, è e sarà sempre "scorretto" verso qualsiasi posizione esistente di supremazia e di privilegio.

La condanna degli scienziati sociali nei confronti di questa dinamica è abbastanza comprensibile, considerando che proprio il loro status è compromesso da un processo di sviluppo sociale universale. Specialmente nei paesi cosiddetti sottosviluppati, gli scienziati sociali iniziano a rendersi conto che i loro interventi sono sempre più futili se non addirittura dannosi in quanto la maggior parte delle persone lasciate libere, senza ostacoli, sono ben capaci di svilupparsi da sé. Quando questa convinzione diventerà patrimonio comune, vedremo il restringersi del potere e del prestigio culturale di questi scienziati sociali e dei governanti statali arroganti e autoritari di cui questi sono gli agenti di supporto e i propagandisti servili.

Questa è una prospettiva spaventosa per essi e per i loro padroni. Ecco perché gli scienziati sociali parlano di sviluppo, scrivono libri sullo sviluppo, ricevono fondi e sono incaricati di progetti di sviluppo ma, quanto a lasciare le persone libere di svilupparsi, questa è tutta un'altra faccenda.

Essa rappresenta qualcosa di troppo importante per loro perché possano affidarla alle persone direttamente interessate. Nel corso del processo di sviluppo, gli individui lasciati a sé stessi potrebbero introdurre ogni sorta di ineguaglianze, turbolenze, squilibri e, forse, alla fine, se davvero lasciati liberi e non sfruttati dall'alto, potrebbero persino arrivare a svilupparsi, rivelando, in tal modo, l'inutilità degli scienziati sociali.

Questo sarebbe il colpo di grazia per gli economisti dello sviluppo e per gli assistenti sociali, accantonati e alla fine dismessi in quanto professionisti che hanno fatto il loro tempo. Per questa ragione, gli scienziati sociali totalmente impreparati e incapaci di avviare esperimenti sociali, si attengono ad un tacito consiglio: meglio parlare che agire, o, meglio agire corrompendo attraverso l'aiuto statale che lasciare che le persone agiscano in maniera autonoma in vista del loro sviluppo al di fuori e al di là dello stato.

Lo sviluppo come concetto e come pratica

Dopo aver sgombrato la via da ogni idiozia, fallacia e ambiguità concernente l'idea e la pratica dello sviluppo, è tempo di focalizzare l'attenzione sulla sua vera natura e caratteristiche. Qui evidenziamo brevemente tre aspetti intrinseci e basilari dello sviluppo:

- Lo sviluppo come processo multidimensionale (morale-mentale-materiale)
Lo sviluppo coinvolge e incide sull'intero complesso della realtà (morale-mentale-materiale) attraverso una serie di trasformazioni interrelate (nuove relazioni, ri-organizzazione, differenziazione, accrescimento, ecc.).

"Sotto la nozione generale di sviluppo [biologico] si nascondono quattro tipi di processi:
- Spostamenti Tattici. Movimenti di parti di embrioni in relazione l'una con l'altra.
- Organizzazione Interna. Il passaggio dalla condizione originaria di unità dell'embrione a un mosaico di regioni parziali indipendenti, in una certa misura, l'una dall'altra.
- Differenziazione Istologica, Il passaggio delle celle individuali da una condizione originaria di apparenza uniforme a condizioni varie di specificazione morfologica e funzionale.
- Crescita. Ingrandimento e moltiplicazione delle cellule."
(Ludwig von Bertalanffy, Modern Theories of Development, 1933)


Concentrare l'attenzione solo su un aspetto a detrimento di tutti gli altri è assurdo, ma questo è quanto è avvenuto a causa della frammentazione delle scienze sociali.
Inoltre, in ogni disciplina (antropologia, psicologia, sociologia, economia, ecc.) lo scienziato sociale, esperto in quella specifica disciplina, vuole primeggiare ed essere assecondato dagli altri scienziati sociali e, in particolar modo, da tutti gli attori sociali, vale a dire da tutti gli individui coinvolti. Questa è una pretesa assurda se si considera un altro tratto intrinseco e basilare dello sviluppo.

- Lo sviluppo come processo autonomo (auto motivato-iniziato-guidato)

"Con il termine 'sviluppo' … intendiamo solo quelle trasformazioni nella vita economica che non sono frutto di costrizioni ma sorgono spontaneamente dall'interno."
"… lo sviluppo economico non è un fenomeno da spiegare attraverso l'economia …"
"… la spiegazione dello sviluppo va ricercata al di fuori del gruppo di fattori che sono descritti dalla teoria economica."
(Joseph A. Schumpeter, The Theory of Economic Development, 1912)


Se c'è qualcosa che dovrebbe essere estremamente chiara riguardo lo sviluppo è il fatto che nessuno può essere sviluppato dall'esterno. Lo sviluppo è veramente un processo autonomo che deve essere necessariamente effettuato da coloro che tendono ad esso. Questo non vuol dire che stimoli e contributi dall'esterno non siano importanti per lo sviluppo. Essi sono infatti indispensabili (infatti solo i sistemi aperti evolvono e si sviluppano) ma solo in quanto siano liberamente accettati e interiorizzati dalla entità che si sviluppa.

Gli scienziati sociali dovrebbero quindi scomparire come direttori di un improbabile sviluppo per lasciare spazio aperto per uno sviluppo effettivo. Il solo ruolo che essi potrebbero svolgere è quello di svelare/scoprire gli ostacoli e smascherare/denunciare coloro che pongono ostacoli sulla strada dello sviluppo (ad es. interessi acquisiti, atteggiamenti mentali autoritari, abitudini obsolete, ecc.). In altre parole, lo scienziato sociale potrebbe contribuire a generare un clima diffuso favorevole al sorgere di un requisito indispensabile per lo sviluppo, vale a dire la libertà.

- Lo sviluppo come processo libero (affrontare rischi e ottenere ricompense)
La libertà di per sé non conduce necessariamente allo sviluppo, ma senza la libertà non c'è modo che lo sviluppo abbia luogo. Potremmo conseguire una crescita economica (fino ad un certo punto) attraverso l'uso di schiavi, ma la crescita economica è un fenomeno diverso rispetto allo sviluppo, qualunque sia l'opinione di alcuni scienziati sociali.
Chiaramente, la messa in atto e l'uso della libertà per/verso lo sviluppo ha più rischi e più incerte ricompense che non una esistenza tranquilla sotto lo sguardo di un padrone benevolo. Questo è il motivo per cui non dovremmo confondere sviluppo con sicurezza non più di quanto non dovremmo confondere la sicurezza con la libertà.
Assenza di sfruttamento non significa mancanza di incertezze, tensioni e difficoltà, che abbondano in un processo di sviluppo. Ma esse, accettate volontariamente e superate brillantemente, fanno parte della bellezza della vita che evolve.

"Un celebre esploratore … arrivò un giorno in mezzo a una tribù di selvaggi. Un fanciullo veniva al mondo e una folla di maghi, indovini, praticanti stregoni lo circondava, muniti di anelli, di forcipi e di lacci. Uno diceva: questo fanciullo non annuserà mai il profumo di un calumet, a meno che io non gli allarghi le narici. Un altro: egli sarà privo del senso dell'udito, a meno che io non gli allunghi le orecchie fino alle spalle. Un terzo: egli non vedrà mai la luce del sole, a meno che io non dia ai suoi occhi una direzione obliqua. Un quarto: egli non sarà mai capace di stare in piedi, a meno che io non gli curvi le gambe. Un quinto: egli non sarà in grado di pensare, a meno che io non comprima il suo cervello.
Indietreggiate, esclamò il viaggiatore. Dio fa bene quello che fa; non pretendete di saperne più di lui, e poiché egli ha dato degli organi a questa fragile creatura, lasciate che i suoi organi si sviluppino, si fortifichino con l'esercizio, la ricerca a tentoni, l'esperienza e la Libertà.
Dio ha anche concesso all'umanità tutto ciò che occorre perché essa realizzi il suo destino. Esiste una fisiologia sociale provvidenziale come vi è una fisiologia umana provvidenziale. Gli organi sociali sono formati in maniera tale da svilupparsi armoniosamente al vento della Libertà. Indietreggino dunque i praticoni e i sapientoni! Via con i loro anelli, le loro catene, i loro forcipi, le loro tenaglie! via con i loro strumenti artificiosi! via i loro ateliers sociali, i loro falansteri, il loro burocraticismo, la loro centralizzazione, le loro tariffe, le loro università, le loro religioni di Stato, le loro banche gratuite o monopolistiche, le loro imposizioni e restrizioni, i loro precetti moraleggianti o il loro livellamento attraverso il carico fiscale! E poiché sono stati inutilmente inflitti al corpo sociale tanti sistemi, che si finisca una buona volta là da dove si sarebbe dovuto iniziare, che si respingano le imposizioni sistematiche, che si metta finalmente alla prova la Libertà, la Libertà, che è un atto di fede in Dio e nella sua opera."
(Frédéric Bastiat, La Loi, 1850)


Conoscenza (^)

Idiozie sulla conoscenza

L'aspetto più assurdo riguardante il modo in cui si affronta il sapere, un aspetto già più volte sottolineato, è la compartimentalizzazione della conoscenza.
È accaduto infatti che si è ritenuto opportuno superare le limitazioni individuali nel padroneggiare la realtà nella sua totalità e profondità, attribuendo a varie tribù di scienziati diritti di precedenza o di esclusività su un'area specifica di studio.
Purtroppo, fatti e idee non sono collocati e delimitati in maniera semplice, con precisi confini che segnano il passaggio da un campo di conoscenza all'altro.

In realtà, le idee più interessanti e le invenzioni più geniali sono assai spesso il prodotto dello scambio intellettuale inter-disciplinare e del superamento di barriere; o derivano da persone che affrontano il problema sotto una prospettiva del tutto nuova e da ricercatori che provengono da altri settori di indagine.
Il risultato sgradevole dell'attuale sapere frammentato che abbiamo nelle scienze sociali è la cacofonia di voci che proviene dalla formazione di fazioni e tendenze opposte, più interessare a prevalere l'una sull'altra che a contribuire al progresso della conoscenza.
Ciò assomiglia all'esistenza di parecchi standard non compatibili tra di loro nell'ambito del trasporto ferroviario o della registrazione video, generando ogni sorta di difficoltà; e se, alla fine, una figura dominante emerge, potrebbe essere il più astuto o colui che ha maggiore forza per imporre le sue idee ma, forse, né migliore né il più accettabile.

La bellezza e la fertilità della conoscenza risiedono, invece, nella varietà all'interno dell'unità, cioè quando molti risultati di un progetto di ricerca si integrano l'uno con l'altro, provenendo da indagini diverse o da approcci diversi o persino da visioni diverse (ma non opposte) della realtà.
Infatti, concezioni diverse possono complementarsi tra di loro ed essere entrambi accettabili, a meno che non siano in contrasto tra di loro e si contraddicano l'una con l'altra, pretendendo, al tempo stesso, di fare entrambe parte della conoscenza umana.
E questa è la vera idiozia che caratterizza molti risultati delle cosiddette scienze sociali e molte attività dei cosiddetti scienziati sociali.

Fallacie sulla conoscenza

La separazione del sapere ha prodotto una notevole contrapposizione tra le scienze della materia e le scienze sociali, il che rappresenta la fallacia più grande per quanto riguarda la conoscenza.
Le scienze della materia sono considerate come scienze esatte, caratterizzate da certezza (ad esempio, nel prevedere gli stati futuri della materia), mentre si ritiene che le scienze sociali siano segnate da un alto livello di incertezza a causa della complessità e della mutevolezza della realtà sotto esame (individui, gruppi).
Questo non è affatto vero.

Tale opinione è una costruzione mentale che ha a che fare più con l'ignoranza umana (e con le giustificazioni umane per tale ignoranza) che con la realtà stessa. Questa costruzione mentale è stata utilizzata in passato anche in riferimento alle scienze della materia. Infatti, quando gli esseri umani erano incapaci di spiegare alcuni fenomeni fisici, il loro manifestarsi era attribuito ad un Dio capriccioso, o a malumori degli Dei o all'esistenza di sostanze e poteri magici. È stato solo quando la conoscenza della materia è progredita attraverso esperimenti rigorosi, che tutte queste spiegazioni apparvero come sciocchezza e furono messe da parte.

Lo stesso dovrebbe avvenire per quanto riguarda le scienze sociali una volta che gli individui saranno in grado di introdurre metodi più rigorosi nel trattare fatti e concetti. Solo così le sciocchezze inverosimili che ci avvolgono saranno in gran parte eliminate.
Allora capiremo che la contrapposizione tra la presunta esattezza delle scienze della materia e la presunta incertezza delle scienze sociali è solo una grande fallacia.
Infatti, alcuni eventi che riguardano la materia sono altamente imprevedibili (ad esempio, i terremoti e i maremoti) e altri che riguardano il comportamento umano sono altamente prevedibili (ad esempio, la notevole affluenza di pubblico all'inizio di una svendita in un grande magazzino come Harrod's a Londra).
Insomma, certezze e incertezze o, meglio, esiti più probabili - esiti meno probabili, sono variamente distribuiti secondo il tipo di problema e non sono semplicemente decisi a priori in base al settore di ricerca.

Ambiguità sulla conoscenza

Ambiguità per quanto concerne la conoscenza originano con tutta probabilità dalla sottomissione della conoscenza al potere.
Francis Bacon affermò che "Sapere è Potere" e nessuno in una posizione migliore della sua avrebbe potuto esprimere quella affermazione, essendo egli al tempo stesso scienziato e uomo di governo.
La verità di questa affermazione, che sapere è potere, può essere vista nel processo di ascesa dello stato in una posizione di supremazia nei confronti della chiesa, che può essere attribuita, tra le altre cose, al fatto che i governanti statali erano più disposti e capaci, rispetto alla gerarchia ecclesiastica, di usare la conoscenza scientifica, sotto forma di strumenti tecnologici, come mezzi per il potere.

L'uso del sapere tecnologico da parte dei governanti statali ha significato, nel corso della storia, che un numero crescente di scienziati è stato pagato a tempo pieno esclusivamente per la ricerca e la messa in produzione di armi di distruzione sempre più letali, al servizio del potere e del prestigio dello stato.
Ma non tutta la conoscenza scientifica è funzionale al potere, nel senso che può essere monopolizzata (come bombardieri o super bombe) da una élite al potere per fini di potere. Piccoli congegni sono stati inventati che accrescono il potere dell'individuo, soprattutto in termini di informazione e comunicazione. Con lo stimolo e l'aiuto di questi congegni, nuove concezioni sociali possono sorgere e circolare. Esse potrebbero essere potenti come e più delle armi e l'élite dirigente è impossibilitata a fermarne la diffusione e il radicamento, a meno che controlli la produzione di tutte le idee concernenti la società e l'utilizzo di tutti i canali di informazione.

E questo è qualcosa per cui i governanti statali si sono impegnati incessantemente, o controllando la conoscenza o decretando che cosa è la conoscenza. L'affermazione "Sapere è Potere" avanzata dai filosofi dell'empirismo deve quindi essere completata con una ulteriore qualificazione che chiarisce le idee dei filosofi dello statismo: "Il Potere certifica il Sapere".
Quando il potere certifica cosa sia la conoscenza, la realtà concernente queste (presunte) conoscenze può assumere due forme, talvolta opposte e talvolta complementari:

- un blocco monolitico e rigido di dogmi e pregiudizi, congegnati e diffusi da un centro che controlla la produzione e la circolazione delle idee;
- una serie di opinioni differenti ed opposte, prodotte e diffuse da differenti centri di potere, che lottano tra di loro per la supremazia.

Chiaramente, in nessuno di questi due casi vi è effettiva conoscenza, nel senso di convincimenti veri e utili per l'avanzamento della conoscenza. Purtroppo, questo miscuglio di plausibili idiozie imbalsamate diffuse dal centro e di un insieme relativistico di sciocchezze diffuse dalle diverse scuole di pensiero rappresenta la condizione ambigua della "conoscenza" nelle scienze sociali sotto lo statismo.

"Nel campo della scienza, non vi sono mezze verità; non esistono verità che, vere sotto un aspetto, cessano di esserlo sotto un altro. Il disegno dell'universo è di una semplicità meravigliosa, al pari della sua infallibile logica. La legge è dappertutto la stessa, le applicazioni soltanto differiscono. Gli esseri più elevati e i più semplici, a partire dall'essere umano fino agli animali, e ai minerali, presentano degli stretti legami nella struttura, nello sviluppo e nella composizione, e sorprendenti analogie collegano la sfera morale a quella materiale. La vita è una, la materia è una, solo le manifestazioni sono diverse, le combinazioni innumerevoli, le individualità infinite; e nonostante ciò, il disegno generale le comprende tutte. La debolezza del nostro intendere, il difetto radicale della nostra educazione, sono responsabili della diversità dei sistemi e del contrasto delle idee. Tra due opinioni che si contraddicono, ve ne è una vera e una falsa; a meno che non siano false tutte e due, ma tutte e due non possono essere vere. Una verità scientificamente dimostrata, non può essere vera qui e falsa altrove.”
(Paul Emile de Puydt, Panarchie, 1860)


La conoscenza come concetto e come pratica

Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza.
(Dante, La Divina Commedia, 1300)


Le idiozie, le fallacie e le ambiguità hanno ridotto la conoscenza nelle scienze sociali al rango di opinioni alla moda il cui solo requisito è di essere funzionali al potere e plausibili per i creduloni.
Per andare al di là di questa paccottiglia è necessario qualificare la conoscenza come idea e come pratica e mettere in luce come emerge la conoscenza:

- la Conoscenza inizia dal percepire/realizzare che c'è un problema per il quale esiste (in teoria) una possibile soluzione che si intende scoprire;

- la Conoscenza coinvolge e fa affidamento a tutte le capacità dell'essere umano (osservazione, intuizione, riflessione, azione, ecc.) al fine di trovare una soluzione;

- la Conoscenza porta alla scoperta della o delle soluzioni.

Nell'affrontare i problemi, gli esseri umani producono strutture conoscitive (teorie, generalizzazioni empiriche, ipotesi) che li assisteranno nel far avanzare lo sviluppo della conoscenza (vale a dire, nel trovare ulteriori soluzioni a ulteriori problemi).
Queste strutture conoscitive dovrebbero rispondere, per quanto possibile e in relazione al problema in esame, a certi criteri che sono standard di misura di ogni sforzo e tentativo umano nell'affrontare la realtà. Tali requisiti sono:

- bellezza (eleganza della soluzione)
- parsimonia (economia delle entità, ad es. nella spiegazione dei fenomeni)
- esattezza (corrispondenza delle affermazioni alla realtà dei fatti)
- validità (coerenza tra affermazioni in una argomentazione)
- generalità (ampiezza nella applicazione)
- testabilità (possibilità di sottoporre a verifica e cioè al processo di falsificabilità)
- fertilità (utile per condurre a ulteriori scoperte di natura teorica e pratica)

Nella scienza non ci sono tesi e antitesi che lottano per il predominio ma solo ipotesi rilevanti e pertinenti soggette a verifica e mai accettate come verità assolute. Al giorno d'oggi gli scienziati, quando sono abbastanza sicuri di una certa posizione, parlano di una ipotesi altamente corroborata. Non ci sono più leggi a cui si attribuisce eterna certezza.
L'assenza di certezza non significa che una affermazione vale l'altra. Significa che tutte le affermazioni devono conformarsi ai criteri precedentemente evidenziati se vogliono essere qualificate come affermazioni della conoscenza ed esse conservano tale qualifica solo se continuano a conformarsi a quei criteri. Considerato che nessuno conosce il futuro, la posizione più ragionevole è di essere accorti nell'attribuire a qualsiasi affermazione scientifica una patente di verità eterna (e quindi non umanamente sostenibile).

L'analisi condotta fin qui su Libertà, Sviluppo e Conoscenza, ha inteso presentare alcune imbecillità con cui lo statismo (vale a dire, i governanti statali e i loro intellettuali servi) hanno manipolato e offuscato quelle realtà. Lo scopo generale è quello di abbandonare l'oscurantismo e l'idiozia che, per mezzo degli scienziati sociali, hanno reso la vita di molti esseri umani orrenda e breve e di molti altri lunga e senza senso.
Per agevolare il raggiungimento di questo scopo è necessario presentare alcuni principi e strumenti che permettano di andare oltre lo statismo (e quindi oltre l'oscurantismo e l'idiozia).

 


 

Riferimenti (^)

[1796] Immanuel Kant, The Philosophy of Right

[1835] Alexis de Tocqueville, De la démocratie en Amérique, vol. I, Flammarion, Paris, 1981
si veda: http://www.panarchy.org/tocqueville/tyrannie.1835.html

[1843] Karl Marx, Critique of Hegel's Philosophy of Right

[1844] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1970

[1850] Frédéric Bastiat, La Loi
http://www.panarchy.org/bastiat/loi.1850.html
traduzione italiana: http://www.panarchy.org/bastiat/legge.1850.html

[1856] Alexis de Tocqueville, L'Ancien Régime et la Révolution, Flammarion, Paris, 1988
http://classiques.uqac.ca/classiques/De_tocqueville_alexis/ancien_regime/ancien_regime.html

[1859] John Stuart Mill, On Liberty
http://www.bartleby.com/130/

[1860] Paul Emile De Puydt, Panarchie
http://www.panarchy.org/depuydt/1860.fr.html
Traduzione italiana "Panarchia"
http://www.panarchy.org/depuydt/1860.it.html

[1905] Paul Mantoux, La révolution industrielle au XVIIIème siècle

[1933] Ludwig von Bertalanffy, Modern Theories of Development, Harper & Brothers, New York, 1962

[1938] Ignazio Silone, La scuola dei dittatori, Mondadori, Milano, 2001

[1941] Erich Fromm, Escape from Freedom [published in 1942 in England as: Fear of Freedom], Routledge, London, 1960

[1947] F. S. C. Northrop, The Logic of the Sciences and the Humanities, The Macmillan Company, New York

[1968] Ludwig von Bertalanffy, General System Theory, Allen Lane The Penguin Press, London, 1971

[1968] Quelle université? Quelle societé? Textes réunis par le centre de regroupement des informations universitaires, Seuil, Paris, 1968

[1969] Isaiah Berlin, Four Essays on Liberty, Oxford University Press, Oxford