Gian Piero de Bellis

Saggi sul post-statismo

Sulle Scienze Sociali come Imbroglio e sugli Scienziati Sociali come Contastorie

(2006)

 


 

Aspettando la Bomba?

 

Il precedente
La causa
La situazione
L'evento
I segni
L'analisi
L'ipotesi
L'alternativa
La responsabilità
L'interrogativo
Note Bibliografiche

 


 

Il precedente (^)

 

"Il 28 Giugno Francesco Ferdinando fu assassinato a Sarajevo, la capitale della Bosnia, da un Serbo Bosniaco." "Il governo Serbo … ritenne certamente molto probabile che Francesco Ferdinando sarebbe stato assassinato se avesse provocato i risentimenti nazionalistici recandosi a Sarajevo; fu avvisato Bilinski, il ministro Austro-Ungherese delle finanze che sovraintedeva anche la Bosnia, sconsigliando la visita fin dai primi di Giugno. Ma, di certo, la visita intendeva proprio provocare il sentimento nazioinalista, o, piuttosto, sfidarlo. Essa era stata deliberatamente organizzata a coincidere con la festa nazionale Serba, l'anniversario della sconfitta in Kossovo. Se un membro della famiglia reale inglese fosse andato in visita ufficiale a Dublino il giorno di San Patrizio durante la ribellione contro il governo inglese, anch'egli poteva attendersi di essere assassinato."
(A. J. P. Taylor, The Struggle for Mastery in Europe, 1954)

L'idea che gli eventi storici sono difficilmente prevedibili in quanto del tutto soggetti ai capricci della natura umana, rivela una attitudine mentale davvero semplicistica e ingenua, propria di ragazzini disattenti e confusionari, che si lasciano distrarre facilmente dal presente, si dimenticano rapidamente del passato, e sono incapaci di stabilire relazioni sensate tra il passato e il presente. Inoltre, coloro che condividono questa idea sembrano essere, in genere, pronti a giustificare e assolvere qualsiasi malefatta, per quanto grave, commessa dalla loro parte, e non sanno rendersi conto delle conseguenze del loro comportamento.

Per illustrare questo punto, ricostruiamo il comportamento dei maggiori protagonisti politici nel periodo antecedente lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Le potenze statali europee si erano preparate alla guerra costruendo, anno dopo anno, un vasto arsenale di armi e stimolando un clima di scontro crescente, fomentato da una ideologia nazionalistica e territorialistica. L'obiettivo di ogni governante statale era quello di espandere la dimesione del territorio e il numero dei soggetti sotto il suo controllo: queste due finalità concomitanti, di allargamento delle frontiere e di più ampia egemonia politica, potevano essere conseguite solo attraverso guerre (guerre nazionalistiche, guerre imperialistiche).

La Prima Guerra Mondiale, preceduta dalla spartizione dell'Africa e da una frenesia imperialistica, non fu dunque che l'inevitabile conseguenza di una serie di atteggiamenti mentali (conquista territoriale, egemonia politica) e di decisioni pratiche (costruzione di armamenti, indottrinamento collettivo attraverso la scuola di stato, militarizzazione di massa attraverso la coscrizione obbligatoria) che avevano bisogno solo di un pretesto drammatico per mettere in moto, proprio nel cuore dell'Europa, azioni di aggressione su vasta scala.

Quasi un secolo è trascorso dal giorno in cui lo studente Gavrilo Prinzip sparò i colpi di pistola che uccisero l'arciduca d'Austria e sua moglie e segnarono l'inizio della Prima Guerra Mondiale, ma noi siamo ancora, più o meno, impantanati negli stessi atteggiamenti mentali e nella stessa struttura politica che ha generato quel terribile risultato. A parte alcuni episodi di unione (ad es. l'Unione Europea) o di smembramento di unità politiche specifiche (ad es. Unione Sovietica, la ex Jugoslavia), governanti statali territoriali nell'ambito di stati territoriali, sono ancora all'opera, con la stessa ristretta mentalità, ossessionati a delimitare confini e a controllare persone con il pretesto di proteggerle da nemici assai spesso o del tutto inventati o da essi stessi generati attraverso politiche di ingerenza e di repressione.

Molti individui attribuiscono il persistere di questa realtà violenta ad una natura umana perversa, ostinata nella sua crudeltà e nella sua bellicosa malvagità. Ma, questa spiegazione della guerra in termini di determinismo biologico è simile al fatalismo storico, cioè all'attribuzione di ogni evento all'azione di un 'fato' inesorabile e imperscrutabile, ed è quindi priva di qualsiasi valore cognitivo. Inoltre, l'esistenza di individui miti e di popolazioni che non hanno combattuto guerre per molte generazioni (ad es. gli Svizzeri, gli Svedesi), mette definitivamente a tacere questa tesi sul perché abbiano luogo estesi conflitti armati.


"Gli esseri umani non combattono mai su larga scala sotto l'influsso di un impulso aggressivo. Essi combattono e si organizzano per combattere perché, attraverso la tradizione tribale, attraverso gli insegnamenti di un sistema religioso, o di un patriottismo aggressivo, essi sono stati indottrinati con certi valori culturali che sono preparati a difendere e con certi odi collettivi basandosi sui quali essi sono pronti ad assalire e ad uccidere."

"[…] la guerra non può essere vista come un evento proprio del destino umano nel senso che potrebbe essere collegata a bisogni biologici o a spinte psicologiche immutabili." (Bronislaw Malinowski, An anthropological analysis of war, 1941)


Inoltre, il progresso della scienza, basato su una analisi critica e razionale della realtà, ha prodotto spiegazioni pratiche e concrete di molti fenomeni, eliminando del tutto il concetto di fato.

 

 La causa (^)

L'abbandono della visione fatalistica riguardante gli eventi storici richiede, nondimeno, l'essere capaci di individuare, con una serie di fatti a sostegno, le cause originarie specifiche degli eventi stessi, nello specifico, della guerra.

Infatti, anche se riconosciamo che l'aggressività faccia parte, in certa misura, della natura umana, essendo presente in modo latente in tutti noi, praticata occasionalmente o in maniera ricorrente da alcuni di noi, questo non spiega lo scoppio e la durata delle guerre. Tutti sanno e devono riconoscere che, per il verificarsi di episodi prolungati di violenza di massa (guerre) vi è bisogno di una organizzazione specifica la cui ideologia e il cui comportamento non solo sono inclini alla guerra ma anche che trovano nella guerra la giustificazione per l'esistenza e il mantenimento dell'organizzazione stessa.


"La guerra è la condizione salutare dello stato. Essa attiva in maniera automatica in tutta la società quelle forze irresistibili a vantaggio del conformismo, del cooperare appassionatamente con il Governo al fine costringere all'obbedienza i gruppi minoritari e gli individui a cui manca il senso del branco."

"Lo Stato è strettamente connesso con la guerra, in quanto è l'organizzazione della comunità collettiva quando essa agisce politicamente, e agire politicamente nei confronti di un gruppo rivale ha significato, nell'intero corso della storia, il fare la guerra." (Randolph Bourne, The State, 1919)


"… a colui che osserva lo svolgimento delle epoche storiche la guerra si presenta come una attività degli stati che è propria della loro essenza." (Bertrand de Jouvenel, On Power, 1945)

Le condizioni che rendono possibile per una organizzazione il portare avanti una violenza di massa su larga scala e per lungo tempo consistono nel riuscire ad arrogare a sé stessa l'esercizio di:

- sovranità territoriale (territorialismo)

- dominio esclusivo (monopolismo)

- potere pervasivo (totalitarismo)

Queste sono, nella realtà, le caratteristiche dello stato assoluto, che risultano espresse nella loro forma più matura e completa dal moderno stato nazionale attraverso la sua democrazia totalitaria, territoriale e monopolistica.

 

"Uno stato è assoluto … quando pretende per sé il diritto al monopolio di tutta la forza all'interno di una comunità, di fare la guerra e di fare la pace, di coscrivere gli individui, di tassare, di sancire o espropriare la proprietà, di definire il crimine, di punire la disobbedienza, di controllare l'educazione, di sovraintendere alla famiglia, di regolare gli atteggiamenti personali, e di censurare le opinioni. Lo stato moderno pretende di esercitare tutti questi poteri, e dal punto di vista teorico non vi è una reale differenza nell'ampiezza delle pretese tra comunisti, fascisti e democratici." (Walter Lippmann, A Preface to Morals, 1929)

Le guerre (cioè la violenza su larga scala e protratta nel tempo) possono essere iniziate e proseguite solo in presenza di queste tre condizioni, ed è corretto affermare che campagne aggressive ed espansionistiche sono con maggiori probabilità nell'agenda di tali organizzazioni (cioè gli stati) quanto più esse risultano caratterizzate da e possono fare affidamento su tali condizioni.

Questo stato di cose si è affermato e poi pienamente consolidato nella prima metà del XX secolo con l'introduzione e il rafforzamento di ogni sorta di regole (passaporti, tariffe protezionistiche, regolamenti economici, ecc.) e di organismi direttivi (per il rilascio di permessi amministrativi, per la formulazione di politiche di piano, ecc.).

Per esprimere il tutto in poche parole, enormi apparati di regolazione e di direzione sono stati istituiti per il dominio statale e per la guerra, radicandosi e rafforzandosi sempre più, in quanto il dominio statale e la guerra richiedono, per essere messi in atto, dosi crescenti di controllo statale (centralizzazione statale, direzione statale).


"Lo stato fa la guerra e la guerra fa lo stato." (Charles Tilly, 1990)

"Notiamo che, come ogni avanzamento del Potere torna utile alla guerra, così la guerra è utile per l'avanzamento del Potere." (Bertrand de Jouvenel, On Power, 1945)

"La guerra è la condizione in cui il governo centralizato si trova nel controllo più completo, più sicuro della sua autorità, e più prontamente capace di ottenere l'obbedienza indiscussa della popolazione." (Alex Comfort, Authority and Deliquency in the Modern State, 1950)

 

Nella seconda metò del XX secolo, l'equilibrio del terrore ha soltanto attenuato la spinta espanssionistica e ridotto in tal modo lo scoppio di guerre generalizzate a vantaggio di conflitti limitati. La forza di aggressione dei super stati esistenti (URSS, USA) si è indirizzata soprattutto a soggiogare popolazioni 'ribelli' all'interno della propria area di dominio (l'Unione Sovietica nei riguardi dell'Europa dell'est e gli Stati Uniti nei confronti dell'America centrale e meridionale), con conflitti violenti guerreggiati solo alla periferia degli imperi (ad es. in Corea, Vietnam, Afghanistan).

Con la fine di un mondo bipolare dominato dai due super stati, il numero dei soggetti ribelli (individui, comunità) che vogliono andare per la loro strada e non vogliono essere sottomessi ad un potere esterno si è moltiplicato. Questo fa sì che lo scenario del cittadino contro lo stato appaia come un dato abbastanza probabile per quanto concerne gli scontri futuri, se teniamo anche conto della nuova situazione riguardante i partecipanti in un conflitto moderno.


La situazione (^)

L'ultimo episodio di uccisioni di massa (la guerra mondiale del 1939-1945) e la serie di conflitti minori dei decenni successivi (Corea, Budapest, Vietnam, Praga, Afganistan, Bosnia, Cecenia, Ruanda, Congo, Timor est, Sri Lanka, Kasmir, Palestina, Iran, Iraq, ecc.) hanno mostrato che la distinzione tra combattenti (cioè le forze militari) e non combattenti (cioè, i civili) non è più né praticata né praticabile a causa del modo in cui le guerre sono attualmente condotte. I non combattenti sono coinvolti nel conflitto persino se essi non sono il bersaglio predestinato di un missile o di una bomba. In casi simili, quando ad esempio un bambino è ucciso in una carrozzella da una conflagrazione, la mente fertile di qualche ufficiale o di qualche giornalista, ha addirittura inventato una espressione agghiacciante ed oscena quale quella di "danni collaterali".


"[…] le 'norme di guerra' internazionali si mostrarono inadeguate durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli avversari di entrambe le parti, attraverso un bombardamento costante dei combattenti, e ancor di più dei non combattenti, incluse le donne e i bambini, hanno infranto tutte le leggi divine e umane." (Pitirim Sorokin, Social and Cultural Dynamics, 1957)

Inoltre, il nuovo ruolo assunto da alcuni individui e comunità contro il potere dello stato (lo stato interno o uno stato estero) ha modificato lo scenario e le regole della lotta.

In conseguenza di ciò, la distinzione tra guerra e terrorismo è sempre più irreale e ingannevole. La guerra è, nell'epoca attuale, una serie di atti terroristici e il terrore è l'arma più comunemente impiegata nella condotta della guerra. Le forme del terrore dipendono dalle capacità tecnologiche e logistiche dei combattenti (ad es. un missile fatto cadere su un mercato o una bomba fatta esplodere in una via di traffico). La disperazione e la morte sono gli obiettivi comuni della guerra terroristica, vale a dire della guerra come terrorismo. La sola differenza consiste, per ogni azione bellica, nel potere degli esplosivi utilizzati, nel numero delle persone coinvolte e nella conseguente cifra delle morti causate dall'esplosione.

Per tutti i contendenti coinvolti nel conflitto, al fine di logorare e sconfiggere il nemico prescelto, è necessario distruggere il suo apparato di guerra che consiste anche, in una parte consistente e importante, nel suo personale non militare in quanto:

- contribuenti che finanziano la produzione di armi;

- lavoratori che producono armi;

- cittadini che sostengono lo sforzo bellico attraverso la propaganda e il funzionamento delle infrastrutture di supporto.

Tutto ciò significa che in una situazione in cui le masse sono soggette (o accettano di essere soggette) ad un potere territoriale, monopolistico e pervasivo, esse si trovano ad essere ostaggio di ogni fortuna o sfortuna che tocchi al potere, in pace e in guerra, finché morte non li divida o, più precisamente, non li unisca per l'eternità.

In altre parole, nella società di massa dominata da stati territoriali e monopolistici che esercitano un potere altamente invadente sui 'loro' cittadini definiti soggetti statali, il tempo della responsabilità personale è finito, sostituito dalla realtà della responsabilità (cioè, passività) collettiva di massa.

Data questa situazione, ogni atto criminale, violento e aggressivo, commesso in una democrazia rappresentativa dai governanti eletti è commesso in nome e a vantaggio (almeno in teoria) di tutti i soggetti statali di quel paese e quindi le responsabilità (passività) vanno divise tra tutti loro. Infatti, parlare di responsabilità personale quando si è in presenza e si accetta il meccanismo delle decisioni a maggioranza, sarebbe inappropriato se non addirittura irragionevole.

Questa nozione di responsabilità (passività) collettiva di massa, sebbene sia un qualcosa di abominevole in quanto annulla del tutto l'individuo come essere umano unico, con una volontà libera e indipendente e con facoltà mentali critiche e autonome, ha rappresentato e tuttora rappresenta la pratica politica corrente. Questa nozione estremamente immorale è applicata anche a molti individui che sono stati tutti indistintamente contrassegnati come appartenenti a un certo gruppo (etnico, religioso, razziale, politico, nazionale, ecc.) e, per questo, sono stati considerati responsabili e puniti per un qualche misfatto commesso in zone lontane da altri di cui essi erano ritenuti condividere alcuni tratti, veri o presunti.

La maggior parte delle storie orrende del secolo XX e dell'inizio del secolo XXI sono strettamente legate al concetto di responsabilità (passività) collettiva di massa. Tra queste abbiamo:

- l'internamento di gruppo (ad es. l'imprigionamento degli Americani di origine giapponese che vivevano negli Stati Uniti dopo Pearl Harbour)

- le uccisioni etniche (ad es. le reciproche carneficine tra Induisti e Mussulmani dopo la separazione tra India e Pakistan)

- lo sterminio di massa (ad es. i massacri di Armeni, Curdi, Ebrei, comunisti Indonesiani, Tutsi, Bosniaci mussulmani, Ceceni, ecc. da parte del potere statale che riaffermava il suo dominio monopolistico sulle minoranze).

Se il principio della responsabilità (passività) collettiva di massa è destinato a prevalere anche in futuro, sostenuto dai fattori prima elencati (vale a dire, territorialismo, monopolismo, totalitarismo) che fanno sì che sia accettato e praticato di buon grado o forzatamente, dobbiamo allora essere pienamente consapevoli di quello che il futuro ha in serbo per molti di noi.


L'evento (^)

Se, nel corso delle nostre giornate indaffarate, ci prendiamo un momento buono di quiete completa e iniziamo a riflettere riguardo al modo in cui viviamo e alla realtà che ci circonda, e integriamo questa riflessione con un minimo di immaginazione, possiamo davvero vedere quello che potrebbe accadere ad ognuno di noi che vive o è di passaggio in una città affollata di questo piccolo mondo.

Raffiguriamoci un persona anonima, vestita come milioni di altre, che ha con sé una piccola borsa o che trascina una valigia su rotelle. La persona sta scendendo con una scala mobile nelle profondità di una stazione della metropolitana. Nessuno nota il passeggero perché è identico a centinaia di migliaia di altri che ogni giorno salgono sui treni della metropolitana.

La differenza sarà avvertita dopo.

Quel giorno e quella persona anonima rimarranno trasfissi nella memoria di miliardi di individui e l'accaduto sarà riportata nei testi elettronici di storia del futuro, come i colpi di pistola esplosi a Sarajevo un secolo fa.

Il passeggero si siede tranquillamente, aspettando pazientemente il momento in cui il treno raggiungerà in superficie un punto vicino ai centri di controllo. Allora schiaccerà un bottone che farà espoldere una carica il cui potere può compararsi, in qualche misura, con gli ordigni atomici che distrussero Hiroschima e Nagasaki più di mezzo secolo fa


"I do not know just how horrible Bombdeath is I can only imagine
Yet no other death I know has so laughable a preview I scope
a city New York City streaming starkeyed subway shelter
Scores and scores A fumble of humanity High heels bend
Hats whelming away Youth forgetting their combs
Ladies not knowing what to do with their shopping bags
Unperturbed gum machines Yet dangerous 3rd rail
Ritz Brothers from the Bronx caught in the A train
The smiling Schenley poster will always smile
Impish death Satyr Bomb Bombdeath."
(Gregory Corso, Bomb, 1958)
"Io non so proprio quanto orribile sia la Bombamorte, posso solo immaginarlo
Eppure nessuna altra morte che io conosca ha una anteprima così comica, Io vedo
una città New York brulicante di gente sotto i cunicoli della metropolitana
Migliaia e migliaia una fiumana di umanità curva sui tacchi a spillo
Con i cappelli che volano via, Giovani che hanno dimenticato i loro pettini
Signore che non sanno cosa fare con le loro borse della spesa
Impassibili macchinette con gomme da masticare, il terzo binario pericoloso
I fratelli Ritz del Bronx presi sul treno espresso
Il manifesto murale di un sorridente Schenley, che sorriderà sempre
Birichina morte Satira Bomba Bombamorte."
(Gregory Corso, Bomb 1958)

Questo evento, anche nella mente delle persone più disattente, segnerà un nuovo capitolo nella storia (talvolta infamante) dell'essere umano. Passati sono i tempi del conflitto tra Chiesa e Stato; quasi finiti sono i tempi delle guerre tra Stati. Ora arriva in scena lo scontro tra gli Individui e lo Stato.


Marzo 2003 - Maggio 2003 : Esercito Americano contro Esercito Iracheno : 176 Militari Americani uccisi
Giugno 2003 - Maggio 2006 : Individui contro Esercito Americano : 2267 Militari Americani uccisi
(fonte: http://icasualties.org/oif/)
Maggio 2003 - Maggio 2006 : Esercito Americano ed Esercito Inglese contro Individui : circa 38.000 civili Iracheni uccisi dopo la fine delle operazioni militari su larga scala
(fonte: Time magazine, 12 Giugno 2006)

Aprile 2006 : Il sottotenente dell'aereonautica inglese Malcolm Kendall-Smith si è rifiutato di prender parte alla guerra in Iraq perché contraria a "il diritto internazionale, i principi di Norimberga e le regole di ingaggio." Per questo motivo è stato messo sotto processo dallo stato inglese.
(fonte: The Independent, 12 Aprile 2006)

Maggio 2006 : Individui contro Stato Britannico : Un migliaio di soldati britannici hanno disertato da quando è iniziata l'occupazione dell'Iraq da parte dell'esercito britannico.
(fonte: BBC1 News, 28 Maggio 2006)


I segni (^)

Nel corso della storia moderna vi sono stati individui che hanno lottato contro il potere statale, ad esempio gli anarchici.

Al tempo d'oggi i primi segni premonitori dello scontro tra Individui e lo Stato sono stati alcuni atti disperati di ribellione da cui traspariva la totale impotenza della persona unita alla barbarie della macchina statale che lo schiacciava, e non solo figurativamente, sotto i suoi carri armati.

In questi primi esempi degli scontri degli Individui contro lo Stato assistiamo all'emergere, fuori dalle masse anonime, di esseri disperati pronti a morire per preservare la loro dignità umana.


16 Gennaio 1969. Nella Piazza di San Venceslao a Praga, lo studente Jan Palack si dà fuoco per protestare contro l'invasione del suo paese, la Cecoslovacchia, da parte degli eserciti del Patto di Varsavia. Ventisei persone seguiranno il suo esempio nelle settimane successive e sette di loro moriranno per le ustioni riportate.

5 Giugno 1989. Nella piazza di Tiananmen a Pechino, un uomo giovane si pone di fronte ad una fila di carri armati inviati dai governanti dello stato cinese per soffocare un movimento di protesta contro l'assenza di libertà e l'occupazione dispotica del potere da parte dei dirigenti del partito comunista.


Successivamente o parallelamente a questi fatti, in altri contesti politici e geografici, individui disperati diventavano individui rabbiosi, pronti a sacrificare sé stessi in azioni dimostrative volte a uccidere persone in una folla, seminando il terrore in quello che essi ritengono il campo avverso.


1981. In Libano una serie di azioni suicide attuate con esplosivi hanno luogo contro la presenza nel paese di soldati stranieri. I protagonisti di questi atti suicidi non fanno che replicare le gesta leggendarie del primo combattente suicida conosciuto nella storia e celebrato nella tradizione Cristiana ed Ebraica, il famoso Sansone e il suo grido di vendetta: "Muoia Sansone con tutti i Filistei."

27 Gennaio 2002. A Gerusalemme, una infermiera palestinese di 28 anni di nome Wafa Idris si fa esplodere per protesta contro l'occupazione da parte dello stato di Israele di territori che considera appartenenti al proprio popolo. Un anziano rimane ucciso e 100 persone ferite. Essa è la prima combattente suicida palestinese.


All'inizio del nuovo millennio abbiamo raggiunto il terzo stadio del processo, lo stadio in cui individui pieni di rabbia sono determinati a tal punto da essere disposti a dedicare mesi alla preparazione di un attacco che causerà un massacro su vasta scala e uno shock totale nelle menti di milioni di persone.


11 Settembre 2001. I due grattacieli del World Trade Centre di New York sono distrutti da dirottatori che li colpiscono con due aerei di linea pieni di carburante. Quasi tremila persone sono uccise a seguito dell'attacco. Una dei motivi alla base dell'azione è la presenza sul suolo dell'Arabia Saudita di soldati americani visti come truppe di occupazione.

7 Luglio 2005. Tre treni della metropolitana di Londra e l'autobus numero 30 sono la scena della esplosione di ordigni che causano 60 morti, inclusi i 4 responsabili dell'azione. Il motivo dietro l'attacco sta nel sanguinoso intervento in Iraq da parte dell'esercito dello stato inglese. Lo stesso motivo, e cioè l'intervento in Iraq dell'esercito dello stato spagnolo, è dietro l'attacco sui treni compiuto a Madrid nel Marzo del 2004 che causa la morte di 192 persone e il ferimento di 2050.


Ora stiamo andando verso lo stadio successivo, quando individui totalmente rabbiosi e del tutto determinati si approprieranno delle opportune capacità tecnologiche per costruire gli strumenti di morte più aggiornati e più letali (armi nucleari, chimiche batteriologiche). Si sta avvicinando il tempo in cui quelle armi saranno impiegate da combattenti suicidi, causando distruzione e morte a livello talmente terrificante che nessun essere umano razionale penserà con lo stesso atteggiamento mentale del giorno precedente l'evento.

E nelle menti dei guerrieri atomici del XXI secolo, la spinta emotiva dietro tutta questa (probabile) carneficina a venire è quella già espressa da Eschilo più di 2500 anni fa:

"La morte è un destino migliore, più dolce della tirannia."
(Eschilo, 525 a.C. - 456 a.C., Agamennone)

 A questa tragica asserzione dovremmo aggiungere un'altra tragica affermazione vecchia di secoli:

"Dulce et decorum est pro patria mori."
["È dolce e onorevole morire per la patria"]
(Orazio, Odi, III, 2, 13)

Entrambi queste dichiarazioni raffigurano, con estrema chiarezza, le disposizioni mentali e comportamentali di coloro che, nel corso dei secoli, hanno deciso di combattere contro quella che essi considerano tirannia e sono morti per quella che essi sentono come la loro patria.

Va precisato che, la patria non è, necessariamente, una realtà territoriale o fissa. Gli antichi hanno già notato ciò quando hanno affermato:

"Ubi bene, ibi patria."
["Dove c'è il bene, lì è la mia patria."]

Quello che è importante sottolineare è che l'aspirazione all'autonomia e il desiderio di godere il bene sono aspetti che fanno parte della natura unana e che esisteranno sempre, da qualche parte, individui disposti a lottare contro la tirannia e per la loro patria.

Per questo, la collocazione e lo scoppio di una bomba atomica, pur essendo un fatto del tutto abominevole da chiunque esso sia commesso e per qualunque motivo, tuttavia non dovrebbe essere visti come un fatto abnorme (abnorme sarebbe lottare con spade e moschetti)  ma solo come un dato quasi scontato, e cioè l'uso delle armi più recenti e più micidiali in una lotta le cui motivazioni sono così antiche e persistenti da poter essere considerate come componenti intrinseche della natura umana, che opereranno, con tutta probabilità, fino alla fine dei giorni.

Dovremmo allora concentrare la nostra attenzione sulla realtà che riguarda tirannia e patria all'inizio del XXI secolo se vogliamo davvero andare alla radice del problema.

Dovremmo chiederci innanzitutto: Chi sono attualmente i tiranni, oltre l'immagine classica di qualcuno che si impadronisce del potere assoluto e rende la vita delle persone a lui soggette spaventosa o anche solo del tutto miserevole?

Ancora una volta possiamo chiarire questo punto con una citazione che non lascia spazio per alcun equivoco:

"Chiunque pone la sua mano su di me per governarmi è un usurpatore e un tiranno,
e dichiaro che egli è un mio nemico."
(Pierre-Joseph Proudhon, Confessioni di un rivoluzionario, 1849)

Per rendere le cose ancora più chiare per coloro che sono spesso distratti da scintillanti apparenze e da trappole verbali, è necessario riportare le parole di un altro autore classico che ha affermato:

"Non c'è tirannia più crudele di quella che è perpetrata sotto lo scudo della legge e in nome della giustizia."
(Montesquieu, Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence, 1742)

Per continuare con la nostra riflessione dovremmo poi domandarci: che cos'è questa patria per la quale alcune persone sono pronte a sacrificare la loro vita?

La risposta a questo interrogativo potrebbe farci scoprire l'esistenza di due fatti che ci conducono ad alcune conclusioni specifiche:

- Primo, che la patria è, per molti individui, il loro gruppo minoritario, secessionista, di opposizione, unitamente all'aspirazione a vivere secondo regole loro proprie, senza essere impediti dal potere territoriale sotto cui vivono;

- Secondo, che al fine di affermare il diritto alla loro patria essi devono mirare a reclamare/pretendere un certo territorio perché questo è, fino ad ora, il solo modo di raggiungere la piena autonomia.

- Da questi due realtà di fatto, ne deriva la conclusione che, al giorno d'oggi, la patria può essere percepita e conseguita solo reclamando/pretendendo un territorio. In presenza di mire territoriali contrastanti il problema, vale a dire questo gioco a somma-zero in cui il mio guadagno territoriale rappresenta la sottomissione politica dell'altro e viceversa, è stato, è e probabilemte sarà sempre risolto attraverso la guerra.

La tragedia vera in tutto ciò è che, al fine di sfuggire la tirannia, un gruppo deve lottare per la supremazia su un territorio altrimenti rimarrebbe in una condizione di soggezione permanente, se non addirittura in uno stato di continuo pericolo. Infatti, nel corso della storia e soprattutto durante il secolo XX, quei popoli che erano senza un territorio (ad. es. gli Ebrei, gli Armeni, i Curdi) sono stati eliminati in gran numero dal potere dominante nell'ambito dello stato territoriale. La tragedia consistente nella necessità assoluta, all'interno del contesto politico attuale, di lottare per una patria territoriale, è accresciuta dal fatto che, una volta che le popolazioni senza possessi territoriali conquistano o riguadagnano un territorio su cui esercitare il loro dominio, è molto probabile che essi opprimeranno le minoranze che vivono in quell'area, perché questo è proprio della natura della sovranità dello stato territoriale.

E allora il ciclo di oppressioni e rivolte e ulteriori oppressioni e ulteriori rivolte continua all'infinito.

Per completare il quadro, la persona che rifletta sulla realtà circostante, e in particolare sugli aspetti relativi al territorialismo (cioè, dominio esclusivo su un territorio e su tutti i suoi abitanti) nel XXI secolo, e su come le persone lotteranno a tale riguardo, deve iniziare a considerare un dato molto importante.

E questo dato è che, nella nostra epoca, esistono le circostanze politiche che motiveranno e le condizioni tecnologiche che permetteranno a qualcuno di fabbricare una bomba atomica e di farla esplodere. E questo perché egli considera la sua esistenza e quella degli appartenenti al suo gruppo totalmente rovinata dalle ingerenze di un potere esterno contro il quale vuole vendicarsi anche a costo di annientare la sua vita e quella di un numero impressionante di altre persone ritenute complici o serve del tiranno territoriale.

Tirannia e territorio appaiono dunque essere i punti cruciali del problema, vale a dire la fonte delle recriminazioni che porteranno probabilmente al verificarsi di terribili eventi di violenza a livello gigantesco.

Esaminiamo allora il fenomeno della guerra (vale a dire, violenza protratta su larga scala) prendendo soprattutto in considerazione le realtà del territorialismo (tirannia su un territorio).


L'analisi (^)

Noi, in quanto esseri umani razionali, dovremmo accettare il fatto che per ogni azione coscientemente pianificata vi è una causa precisa. Per quanto riguarda il far esplodere una bomba atomica, ci devono essere recriminazioni talmente profonde da instillare nella mente di qualcuno una così forte determinazione che lo porterà a preparare e a far scoppiare la bomba. In quanto esseri umani razionali, noi dovremmo impegnarci a fondo per identificare le cause di quelle recriminazioni al fine di eliminarle quanto più e quanto prima possibile.

Come già sottolineato in precedenza, l'opinione che l'operare protratto nel tempo di massacri di massa, vale a dire guerre, sia il frutto di una natura umana fondamentalmente aggressiva, non tiene affatto conto di alcuni aspetti importanti del problema, in particolare il fatto che:

  1. la natura umana non è una realtà monolitica statica ma una serie di potenzialità e inclinazioni, molte delle quali non hanno nulla a che vedere con un comportamento violento, prova nei sia la presenza diffusa, in tutte le eopche, di persone amanti della pace. Alcuni di questi individui trovano persino il coraggio di opporsi alla guerra, disertando e affrontando la corte marziale istituita dalle organizzazioni che hanno scatenato la guerra.
  2. una natura aggressiva è una condizione necessaria ma non sufficiente per la carneficina di massa che è la guerra; l'altro requisito, già messo in luce, è l'esistenza di una organizzazione disposta e preparata alla guerra, la quale ha il potere di mobilitare con la forza vaste risorse militari in termini di uomini e materiali.
  3. la natura umana, a parte casi patologici e non comuni, diventa (o può diventare) aggressiva solo in presenza di qualcosa avvertito come una offesa o una ingiustizia; in altre parole, deve esistere un motivo reale o presunto di recriminazione per mettere in moto la violenza (attacco, rappresaglia, resistenza).

Gli atteggiamenti di una persona in relazione a qualcuno/qualcosa possono essere classificati, seguendo liberamente lo schema della psicoanalista Karen Horney, come un andare:

- verso (towards)

- via (away)

- contro (against)

quell'individuo o quella esperienza.

In presenza di individui che una persona sente come sgradevole o di esperienze avvertite come negative, la reazione usuale e ragionevole da parte dell'essere umano è quella di staccarsi ed allontanarsi.

Se però questo non è possibile, l'opzione che rimane e la reazione probabile è quella di andare contro e opporsi per superare quella specifica situazione.


"Se l'attività del respirare fosse interrotta accidentalmente o a seguito di un atto deliberato di un altro individuo, la reazione immediata a ciò è una lotta violenta per rimuovere l'ostacolo o per far cessare l'atto di aggressione. Scalciare, mordere, spingere, tutto ciò ha immediatamente inizio; ne segue una lotta che termina con la distruzione dell'organismo soffocato o con la rimozione dell'ostacolo."

"… l'impulso che controlloa l'aggressione non è di tipo primario ma derivato. È contingente alle circostanze in cui un certo impulso primario caratterizzato come biologico risulta ostacolato." (Bronislaw Malinowski, An Anthropological Analysis of War, 1941)


Infatti, è proprio della natura umana mirare alla soddisfazione dei bisogni e lottare quando la realizzazione di bisogni fisiologici (cibo, acqua, riparo, ecc.) è messa in pericolo e quella di bisogni della personalità (autonomia, creatività, mobilità, autostima, ecc.) è soffocata. Questi sono motivi di recriminazione che possono generare violenza.

Al contrario, le guerre iniziano quando i governanti hanno soddisfatto tutti i loro bisogni e hannno risorse in eccesso (armi, provviste, fortificazioni, ecc.) che possono essere impiegate per il soddisfacimento delle loro manie di grandezza o delle loro pulsioni di vendetta.


"La guerra è essenzialmente il campo da gioco dello psicopatico nella società." (Alex Comfort, Authority and Delinquency in the Modern State, 1950)


Tutto ciò significa che dobbiamo distinguere chiaramente tra atti localizzati ed episodici di violenza da parte di individui e piccoli gruppi per essere stati privati dal soddisfare determinati bisogni umani, e attività di violenza organizzate su vasta scala e protratte nel tempo, in altre parole guerra, portata avanti attraverso interposte persone che ne sopporteranno il peso maggiore, e finalizzata essenzialmente a conquistare territori, allargare l'influenza e dominare le popolazioni.

Considerando che molti esseri umani, seguendo la loro natura umana, si sono opposti alla disumanità della guerra in molti casi in cui ciò era possibile (ad es. lottando contro il servizio militare, abbandonando l'esercito, denunciando gli eccidi bellici, ecc.) faremmo meglio a focalizzare l'attenzione non sull'individuo violento ma sull'organizzazione che fa la guerra se vogliamo individuare la fonte dei massacri di massa e, in generale, della violenza sostenuta e protratta.

Come già indicato precedentemente, una organizzazione preparata ed esperta nel fare la guerra deve godere di:

- sovranità territoriale: l'organizzazione deve avere il potere di porre sotto la sua sovranità tutti coloro che vivono all'interno di un certo territorio (ascrizione obbligatoria).

- dominio monopolistico: l'organizzazione deve avere il potere di imporre le sue leggi esclusive su tutti coloro che sono sotto la sua giurisdizione territoriale (sottomissione obbligatoria).

- potere invasivo: l'organizzazione deve avere il potere di disporre della vita degli individui per il mantenimento della organizzazione territoriale (coscrizione obbligatoria).

Nei tempi moderni questa organizzazione si è rivelata essere lo stato territoriale nazionale e centralizzato e questo è il motivo per cui l'ascesa in una posizione di dominio pieno da parte di questo tipo di stati verso la fine del XIX secolo ha portato anche ai più atroci eccidi nella storia dell'umanità. Questa non è una correlazione accidentale di eventi ma una precisa e documentata unione di causa ed effetto.

 

L'ipotesi (^) 

Nell’età contemporanea caratterizzata da conflitti tra individui e lo stato, possiamo riformulare il problema della guerra e delle sue origini in termini di:

- bande: gruppi di persone che esercitano il controllo esclusivo su un certo territorio

- cancelli: confini artificiali del territorio sotto controllo

- armi: strumenti di repressione per il controllo del territorio

- recriminazioni: i motivi vari di coloro che si oppongono al controllo di un territorio da parte di una certa banda.

Considerando che la maggior parte delle recriminazioni che portano ad una guerra aperta consistono, in definitiva, in pretese territoriali di sovranità esclusiva, il successo di una banda/governo non elimina la probabilità che sorgano in futuro altre recriminazioni, ma ne pospone solamente la data fino a quando sorgerà un nuovo gruppo organizzato e ben determinato con le sue richieste di esclusivo controllo di una qualche parte del territorio.

E allora il ciclo di violenza e di guerra si riaccende di nuovo.

Questo è esattamente ciò che è avvenuto e sta ancora avvenendo nella storia.

In sostanza, in qualsiasi modo affrontiamo il problema della guerra, sembra che il punto cruciale risieda nell’esistenza di una pretesa da parte di un tiranno (sia esso una maggioranza come in una democrazia o una elite come in una oligarchia) di esercitare il controllo e lo sfruttamento esclusivo su un certo territorio e su tutte le sue risorse, compresi gli abitanti. Le bande, i cancelli e le armi esistono solo a causa del territorialismo, e cioè a causa di questa assurda imposizione di un dominio territoriale monopolistico.

L’ipotesi che qui si avanza, e per il sostegno della quale si può contare su una notevole quantità di dati storici, è che il territorialismo è il motivo cruciale per l’emergere di profonde recriminazioni che portano alla violenza, agli scontri e, alla fine, ad una guerra totale e protratta nel tempo allorché i gruppi sociali hanno raggiunto un certo livello di struttura politica e di peso organizzativo.

Se ciò è vero ne consegue che, se accettiamo il territorialismo come il modo di organizzare le società (per cui, un territorio - un capo) le recriminazioni tra gruppi esisteranno sempre.

Mezzi presunti per controllare lo scoppio di conflitti violenti potrebbero essere:

- Il piccolo ghetto: la costituzione di territori abitati da gruppi completamente omogenei (dal punto di vista della cultura, razza, credo politico, ecc.) del tutto segregati l’uno dall’altro (obiettivo finale: amare la propria piccola cella).

- Il grande fratello: l’istituzione di un apparato di propaganda estremamente efficace, capace di rendere l’asservimento e il conformismo altamente desiderabili anche per i gruppi minoritari diversi dal gruppo dominante (obiettivo finale: amare il proprio grande fratello).

Questo futuro allucinante fatto di segregazione e di subordinazione su scala mondiale potrebbe forse ridurre le guerre di massa a conflitti interni localizzati da risolvere con ulteriore dosi di isolamento e manipolazione. Altrimenti, con la presenza congiunta di territorialismo e globalismo, dobbiamo accettare il fatto che le guerre avranno sempre luogo e che la lotta di liberazione, l’intifada, la guerriglia d’oggi diventeranno domani guerra totale una volta che un gruppo ha conquistato/acquisito una base territoriale e un certo livello di forza politica e militare.

Secondo questa ipotesi e sulla base dei dati storici, sarà sempre così qualunque sia il sistema politico adottato, posto che l’ideologia del territorialismo sia condivisa dai diversi gruppi e che uno di essi covi recriminazioni profonde contro l’altro e un forte desiderio di autonomia.

In passato, alcuni pensatori (ad esempio, Auguste Comte e Herbert Spencer) presentarono l’idea che lo sviluppo della produzione e del commercio (in altre parole, il capitalismo industriale) avrebbero reso il militarismo un fatto del passato. Ma, quando i capitalisti nazionali si allearono con i governanti nazionali dei loro stati territoriali e iniziarono a reclamare protezione e diritti esclusivi di sfruttamento e commercio su un territorio specifico, le guerre divennero più accese che mai. Alcuni capitalisti, attraverso i giornali da loro controllati, appoggiarono addirittura il mito imperialista che il commercio segue la bandiera ("trade follows the flag").

In epoca storica successiva, alcuni intellettuali facilmente influenzabili avanzarono la tesi che gli stati cosiddetti socialisti non combattono tra di loro. La presenza di carri armati sovietici nelle strade di Budapest (1956) e Praga (1968) e gli scontri violenti tra Cina e Unione Sovietica nel Sinkian (1969) hanno messo la parola fine anche a questo mito.

Ai nostri giorni, altri intellettuali ingenui sostengono la convinzione che le democrazie (vale a dire, gli stati con rappresentanze elette) non si fanno guerra tra di loro; se questo fosse vero, la diffusione di stati democratici costituirebbe una garanzia per il mantenimento della pace. Sfortunatamente questo è un altro mito che sarà ugualmente messo in soffitta dal corso degli eventi.

Già ora è chiaro (nell'anno 2006) che la sola ragione per cui i rappresentanti democraticamente eletti del popolo palestinese e quelli del popolo di Israele non danno vita ad una guerra totale risiede nello squilibrio delle forze e non in una pretesa ma inesistente moderazione dei loro rappresentanti democraticamente eletti. Nella realtà dei fatti, gli stati democratici territoriali (ad es. l’Inghilterra) non sono stati meno guerrafondai di stati autoritari territoriali (ad es. la Spagna sotto il generale Franco). Il freno a scatenare una guerra da parte di uno stato territoriale è costituito dalla sua debolezza e non dalla forma della sua struttura politica. Questo significa che, se confrontata con un attacco territoriale alla sua sovranità o se animato da mire o rivendicazioni territoriali, qualsiasi stato territoriale è pronto a entrare in guerra, posto che esistano probabilità di successo.


"L'opinione popolare che le democrazie sono meno belligeranti dei regimi autoritari non sembra essere confermata dai nostri dati. Nel XX secolo l'ampiezza relativa delle attività belliche da parte della democratica Inghilterra (misurate dal numero dei caduti in guerra) è risultata maggiore rispetto alla Spagna; e quella della Francia maggiore rispetto all'Austria e alla Russia." (Pitirim Sorokin, Social and Cultural Dynamics, 1957)

 

Quello che è comune a tutti questi casi di guerra sotto il cosiddetto capitalismo, socialismo, democrazia, è la presenza di governanti di stati territoriali convinti che è loro diritto imporre il loro volere su quanti vivono all’interno di un certo territorio, e che sono desiderosi di espandere ulteriormente la loro sovranità o sfera di influenza su altri territori. Questo si chiama statismo che è la forma ideologica e organizzativa attuale del territorialismo.

I due tratti principali dello statismo sono:

- Nazionalismo: combattere una guerra contro entità sociali e politiche considerate estranee ad un certo territorio;

- Imperialismo: combattere una guerra contro entità sociali e politiche considerate inferiori al fine di sostituirle nell’amministrazione di un certo territorio.

Storicamente, l’ambizione territoriale ha alimentato un nazionalismo attraverso il quale il gruppo interno più forte ha schiacciato quelli più deboli; il nazionalismo ha poi generato l’imperialismo attraverso il quale gli stati più forti hanno soggiogato quelli più deboli. Tutto ciò è stato portato avanti attraverso l’uso di nobili frasi (la missione civilizzatrice, il fardello dell’uomo bianco) o di motivi forti (lo spazio vitale, un posto al sole).

La stessa dinamica è ancora operativa, con alcuni nuovi protagonisti, alcune nuove parole d’ordine (lotta per la democrazia, guerra al terrorismo) ma con lo stesso obiettivo di fondo: controllare territori per controllare le persone al fine di esercitare il potere.

Torniamo quindi, di nuovo, al problema del territorialismo in quanto sorgente reale della guerra, dopo aver fatto cadere una serie di cause fittizie che non reggono neanche ad un esame critico superficiale.

 

L'alternativa (^) 

Il legame tra territorialismo e guerra era già chiaro a coloro che, in passato, hanno formulato proposte per l’abolizione della guerra. Le soluzioni più originali presentate nel corso della storia sono:

- Cosmopoli. La fine del nazionalismo territoriale e l’attribuzione della sovranità territoriale ad una organizzazione generale, al fine di garantire una pacifica amministrazione del mondo (Freud, Malinowski, Einstein, H.G. Wells).

- Panarchia. La fine pura e semplice del territorialismo e la riappropriazione da parte degli individui del potere di associarsi e di dissociarsi da qualsiasi entità sociale e politica, nessuna delle quali è dotata di sovranità territoriale (Paul Emile de Puydt, John Zube).

Queste due soluzioni non sono antitetiche, come potrebbe apparire a prima vista, e potrebbero essere amalgamate tra di loro posto che superiamo interpretazioni convenzionali o erronee di entrambe.

Cosmopoli come amministrazione del mondo non dovrebbe essere intesa come la centralizzazione di tutto il potere di controllo in un super-stato mondiale. Questa sarebbe una proposta totalmente disfunzionale oltre ad essere notevolmente tirannica (come già riconosciuto da Kant). Invece, dovrebbe essere intesa come uno schema generale di principi civici universali all’interno del quale individui e comunità si associano e interagiscono liberamente.

In altre parole, Cosmopoli dovrebbe significare una federazione mondiale (rete) di comunità e individui indipendenti (nodi) in cui la solidità, robustezza e ricchezza di ogni nodo è data dalla pluralità e dalla qualità delle sue connessioni e non dalle dimensioni o dalla forza bruta dei suoi componenti.

Panarchia come libera scelta da parte di ogni essere umano di associarsi o disassociarsi da qualsiasi entità sociale o politica, non è certamente da intendersi, nell’insieme, come egotismo personale o isolazionismo comunitario (o, ancor peggio, settarismo gretto e scontro endemico tra fazioni). Questo sarebbe in totale contrasto con quello che la panarchia propone (vale a dire, tolleranza politica universale) e in netto contrasto con buona parte della realtà corrente caratterizzata da un ammontare incredibile e crescente di nessi e scambi che collegano ognuno con innumerevoli altri. Invece, la Panarchia deve essere vista come l’attuazione delle scelte e delle responsabilità personali in ogni campo. Questo segnerebbe il vero inizio della storia dell’umanità, e cioè di esseri umani universali e liberi, dopo così tanta storia fatta di stati, governanti, eserciti, guerre.

Le due proposte non sono quindi incompatibili ma possono essere integrate in una proposizione generale, una Cosmopoli di Panarchie che promuova la più ampia e profonda coesistenza tra individui autonomi e comunità indipendenti sul pianeta terra.

E se, quando dovessero sorgere divergenze, esse possono essere ricomposte attraverso forum per la chiarificazione del problema e meccanismi di arbitrato (come già avviene per dispute tra società commerciali); oppure, in presenza di scoppi di accese passioni, attraverso l’uso di forze neutrali di interposizione e di pacificazione (come è sempre accaduto quando i contendenti hanno bisogno di tempo e aiuto per riacquistare le loro facoltà raziocinanti).

In sostanza, come sottolineato più volte in precedenza, senza il controllo monopolistico e totalitario di un territorio e della sua popolazione, nessuna guerra (cioè, violenza protratta e su vasta scala) è possibile.

Se il territorialismo, monopolismo e totalitarismo sono i requisiti che producono una organizzazione atta alla guerra, ne segue allora che coloro che sono contro la guerra dovrebbero promuovere il superamento parallelo di questi tre aspetti e dovrebbero sviluppare al loro posto strutture e configurazioni organizzative alternative che minimizzano e alla fine estinguono la spinta e la capacità di fare la guerra.

Queste nuove entità sociali dovrebbero presentare caratteristiche antitetiche al territorialismo, monopolismo, totalitarismo, e cioè:

- Spazialismo. Il governo è dissociato dalla sovranità territoriale (aterritorialismo), ed è occupato solo all’assolvimento di certe funzioni circoscritte, coinvolgendo esclusivamente le persone volutamente interessate da queste funzioni. Ciò libera l’individuo dall’essere ostaggio di un certo potere solo per il fatto di vivere in un certo territorio, ed elimina la causa principale di guerra (cioè, conquistare/controllare nuovi territori).

- Pluralismo. Non vi sono limiti al numero di comunità (volontarie e libere da territorialismo) che si moltiplicano fino a quando esistono individui disposti a promuoverle. Ciò farà sorgere una moltitudine di entità sociali, la maggior parte delle quali connesse e aperte a nuovi apporti e a nuovi membri, e ridurrà il potere invasivo di qualsiasi organizzazione grande e centralizzata. Come conseguenza avremo il venir meno di un’altra fonte responsabile di massacri di massa, vale a dire l’esistenza di grandi gruppi di persone subordinate ad un potere centrale.

- Volontarismo. Tutti gli individui sono liberi di associarsi con la comunità di loro scelta, di promuovere nuove comunità o di vivere per conto loro, in disparte, non disturbati da alcuno. Questo diritto universale personale di scelta sociale farà sì che si attui la forma base della libertà (e cioè, il libero arbitrio) e lascerà definitivamente alle spalle le tracce che ancora rimangono di feudalesimo moderno, e cioè di nazionalismo, nella misura in cui liberi contratti sostituiranno dappertutto, anche nella sfera sociale e politica, l'ascrizione obbligatoria.


"… all'origine nessun individuo aveva un diritto più grande ad una regione della terra rispetto a qualsiasi altro."

"… il diritto al godimento della terra … appartiene in comune alla totalità degli esseri umani." (Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 1795)


Queste tre condizioni rappresentano non solo il modo più ragionevole per promuovere e preservare la pace, ma anche l’opzione più sensata per affrontare i problemi più intrattabili (Iraq, Palestina, Sri Lanka, Kasmir, Afganistan, Irlanda del Nord, Europa multi-etnica, ecc.) in un mondo complesso, multiculturale e cosmopolita.

Il tempo di un unico governo a base territoriale, di un’unica fede dominante, e di una nazione che racchiude tutti, è oramai un dato del passato. Dobbiamo solo rendercene conto pienamente e comportarci di conseguenza. Abbiamo quindi bisogno di nuovi modi di pensare e di agire al fine di padroneggiare l’arte del vivere (esprimere, esplorare, scambiare) in tutta la sua complessità e varietà.


La responsabilità (^) 

La responsabilità di fermare il verificarsi di eventi catastrofici generati da esseri umani risiede in ogni individuo, altrimenti ognuno di noi, in modi differenti, sarà condannato, spazzato via dalla conflagrazione o dal vortice che ne seguirà, senza rendersi conto del perché il terrore lo abbia colpito e proclamando ingenuamente la sua innocenza fino al momento in cui il terrore giunge a visitarlo.

Quello che invece si richiede da parte di ognuno di noi nei modi e nelle forme umanamente possibili caso per caso è la:

- Dissociazione dai tiranni: Noi dovremmo distanziarci, il più presto possible, da governanti abominevoli e immorali e dalla loro cricca criminale, e dovremmo ritirare quanto più possibile il nostro sostegno o attraverso una resistenza passiva sotterranea o un intervento attivo aperto.

- Denuncia dei tiranni: L’intervento attivo aperto dovrebbe essere finalizzato a deporre il tiranno e la sua cricca criminale, mettendoli sotto processo. Gli esempi rappresentati dalla detenzione di Slobodan Milosevic e Charles Taylor dovrebbero rappresentare solo l’inizio e dovrebbero portare ad una più ampia e profonda pulizia in tutto il mondo di governanti assassini.

- Dissoluzione dei tiranni: Un processo dovrebbe essere la procedura appropriata per l’abolizione dei tiranni. Ma, se un Primo Ministro, un Capo di Stato, un Comandante delle Forze Armate, ecc. non può essere sottoposto a procedimento giuridico per una qualsiasi ragione, allora il tirannicidio è l’atto a cui fare ricorso in ultima instanza.


"Essi [gli abitanti di Utopia] considerano come onorevole, come un atto di umanità e di misericordia il fatto che, con la morte di alcuni individui responsabili di colpe [e cioè l'uccisione dei governanti pronti alla guerra], si salvano le vite di migliaia di persone innocenti che altrimenti sarebbero morte in battaglia. Perché il buon cuore degli abitanti di Utopia abbraccia tutti, anche i soldati della parte avversa. Essi sanno che i soldati non intraprendono una guerra di loro iniziativa ma sono costretti a seguire gli ordini che risultano dalla litigiosità dei regnanti." (Thomas More, Utopia, 1516)

"L'albero della libertà deve essere rinvigorito di tanto in tanto con il sangue dei patrioti e dei tiranni. Esso ne rappresenta il concime naturale." (Thomas Jefferson, in una lettera a W. S. Smith, 1787)


Chiaramente il tirannicidio dovrebbe essere solo l’opzione estrema messa in atto al fine di:

- fermare ulteriori crimini su larga scala commessi/ordinati da una persona;

- fermare altre persone intenzionate a seguirne l’esempio praticando crimini simili.

Ad ogni modo, se la persona (Primo Ministro, Capo di Stato, ecc.) responsabile di quei crimini

- pone fine ai misfatti (completamente)

- compie atti di riparazione (per quanto possibile)

- chiede sinceramente perdono (il più presto possibile)

quella persona dovrebbe essere riammessa nell’ambito della comunità umana e non dovrebbero essere più effettuati attacchi alla sua vita.

Con questo necessario atto di retribuzione quale è il tirannicidio siamo, comunque, ancora nell’ambito della politica e quindi di gesti di odio e di vendetta.

Dopo di ciò, occorre andare al di là della politica e oltre le organizzazioni territoriali, monopolistiche e totalitarie, verso la sfera dello spazialismo, del pluralismo e del volontarismo, una sfera abitata da individui cosmopoliti caratterizzati dall’atteggiamento e dalla pratica universale della tolleranza e della accettazione di differenti credi e costumi in tutti i campi.

La traiettoria iniziata alcuni secoli fa con l’introduzione della tolleranza religiosa, sarebbe quindi estesa e completata con la pratica della tolleranza politica e della libera scelta concernente l’ampia area sociale di adesione ad uno stato o di associazione ad un gruppo. In altre parole, la pratica di aderire facoltativamente e volontariamente ad una associazione (o di astenersi dall’aderire) dovrebbe essere a disposizione di ogni individuo, in relazione a qualsiasi comunità ed organizzazione, incluso lo stato.


 L'interrogativo (^)

Estragone: Quale è la nostra parte in tutto questo?

Vladimiro: La nostra parte?

Estragone: Non avere fretta.

Vladimiro: La nostra parte? Quella del postulante.

Estragone: A questo siamo ridotti?

Vladimiro: Il signore ha per caso delle esigenze speciali?

Estragone: Non abbiamo più diritti?

Vladimiro: Mi faresti ridere, se mi fosse consentito.

Estragone: Li abbiamo perduti?

Vladimiro (seccamente): Li abbiamo buttati via.

(Samuel Beckett, Aspettando Godot, Atto primo)


La sera del 5 Gennaio 1953 al Teatro Babylone a Parigi, molti spettatori stupiti assistettero alla prima rappresentazione di "En attendant Godot" (Aspettando Godot) di Samuel Beckett.

In questa opera teatrale surreale, Godot non arriva mai, ma i due accattoni, Estragon e Vladimir, continuano ad attenderlo.

E la Bomba?

Data la realtà attuale, molto probabilmente essa arriverà.

Potrebbe essere una bomba vera dal potere terrificante o una bomba metaforica, e cioè una bomba ecologica, chimica, finanziaria, morale, che manderà in mille pezzi le nostre vite e ci mostrerà che, in definitiva, non c’è nessun padrone a proteggerci e nessun tutore a guidarci.

Allora scopriremo la nostra solitudine su questa terra ma anche la nostra unicità e indipendenza e l’assurdità totale dell’abdicare al nostro compito di impegnarci per diventare esseri umani in cambio di una illusoria sicurezza, sotto il giogo di padroni eletti o imposti.


"Il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa dei servi più che dei padroni." (Da una iscrizione all’ingresso del Museo di San Martino al Vomero, Napoli)

Comunque sia, se stiamo aspettando passivamente la bomba (consapevolmente oppure no) significa che non solo abbiamo perso i nostri diritti umani ma anche che non ne siamo degni perché siamo solo manichini impagliati.

Faremo un bel fuoco quando la bomba finalmente arriverà!

Le condizioni preliminari perché la bomba arrivi sono tutte presenti.

Si osservi, ad esempio, l’incredibile squilibrio generato, da una parte, da un modello territoriale di organizzazione politica e sociale in cui la persona è trattata come un minore handicappato, privo di qualsiasi potere di vera sperimentazione sociale e, dall’altra, una realtà tecnologica e di informazione in cui l’individuo è il padrone potenziale di un universo di strumenti e dati che abbracciano una rete mondiale di connessioni e di relazioni.

In passato, le concezioni ristrette di buona parte della popolazione che conduceva la sua vita all’interno di un territorio limitato e con un insieme di relazioni relativamente ridotto erano, di tanto in tanto, sconvolte da eventi imprevisti sul verificarsi dei quali le persone non avevano alcun potere.

Al giorno d’oggi, non solo le idee circolano istantaneamente a livello mondiale, ma gli archivi del passato sono aperti a tutti, per essere esaminati e fornire materia di riflessione al fine di evitare precedenti errori, e simulazioni possono essere effettuate per cogliere possibili eventi del futuro. Per cui non abbiamo davvero bisogno di fatti scioccanti che ci costringano a cambiare direzione dopo aver pagato un prezzo terribile in termini di sofferenze e di perdita di vite umane.

Il territorialismo statale è un virus pestilenziale con cui non possiamo più a lungo convivere perché le conseguenze che ne potrebbero derivare sono ancora più sconvolgenti delle peggiori tragedie a cui abbiamo assistito in passato. Forse un altro gigantesco macello è quello di cui abbiamo bisogno per dire alla fine: BASTA - Arrestiamo il massacro e lasciamo che le persone vivano come vogliono, professando liberamente la loro fede politica, senza padroni territoriali che impongano loro credenze e pratiche di osservanza.

Le imposizioni non hanno funzionato per la religione, non possono funzionare per la politica (per molti la nuova religione).

Come ci mostra la storia, solo dopo terribili bagni di sangue generati da odi religiosi (come il Massacro del giorno di San Bartolomeo in Francia - 23 Agosto 1572 - in cui vennero uccisi 20mila Ugonotti); e dopo lunghi conflitti quali la Guerra dei Trenta Anni (1618-1648) in cui pretesti religiosi alimentarono ambizioni territoriali, portando lutto e miseria in molte regioni d’Europa, le idee di tolleranza in materia di religione iniziarono lentamente ad essere introdotte, prese in esame e finalmente accettate.

Sfortunatamente, la Pace di Westfalia (1648) che pose termine a quella guerra segnò la data di inizio dell’innalzamento degli stati territoriali e dei loro governanti come protagonisti della storia. Per cui, mentre la tolleranza religiosa stava germinando, i dissidi religiosi stavano declinando e i conflitti in materia di fede stavano diventando una cosa del passato, erano in incubazione nuovi scontri violenti generati dalle ricorrenti avidità territoriali alimentate dal nuovo fanatismo degli odi nazionali basati sulla politica.

Se solo lo spargimento di sangue può curarci della nostra pazzia territoriale basata sull’intolleranza politica, potremmo dire che già abbiamo avuto l’equivalente della Guerra dei Trenta Anni nelle due Guerre Mondiali (1914-1945) del secolo scorso.

Per cui, non avremmo proprio bisogno di ulteriori conflitti politici che portino ad ulteriori distruzioni colossali e perdite di vite umane prima di iniziare ad accettare e a praticare la tolleranza politica, vale a dire la tolleranza in materia di fede politica, per cui ognuno può davvero mettere in pratica le sue convinzioni politiche seguendo non i capi scelti dalla maggioranza (democrazia) o dalla minoranza (oligarchia) ma solo quelli scelti da lui stesso, se così egli vuole, o nessun capo, secondo le sue personali esigenze e desideri.

Purtroppo, molti esseri umani non sembrano in grado di ricordare il passato o preferiscono ignorarne le lezioni e sono così destinati a ripetere gli stessi tragici errori. Infatti, una sorta di guerra di religione è già iniziata. Come nella Guerra dei Trenta Anni la religione è solo un pretesto per l’espansione e il dominio politico. Nella nostra epoca, ancor più che in passato, difendere una religione significa sostenere una fede politica e questo non ha nulla a che vedere né con la spiritualità né con il sentimento religioso.

Le fedi politiche sono, davvero, il nuovo oppio dei popoli, che offuscano la mente degli individui e li portano a commettere atrocità che susciteranno orrore nelle generazioni future le quali ci derideranno o addirittura ci disprezzeranno per la nostra cecità e intolleranza mostrando lo stesso atteggiamento che abbiamo noi attualmente nei confronti dei massacri e delle persecuzioni religiose del passato.

Per tutti questi motivi, ora più che mai, ogni persona in pieno possesso delle sue capacità raziocinanti e avendo a disposizione un insieme notevole di dati storici e di riflessioni su quei dati, dovrebbe porsi la seguente domanda:

STO IO ASPETTANDO LA BOMBA?

Il modo in cui ognuno di noi risponderà, in teoria e in pratica, a questa domanda costituirà la differenza tra il rimanere servi idioti alla mercé di ogni cataclisma prevedibile ed evitabile, o esseri umani maturi, pienamente indipendenti e responsabili artefici del proprio futuro.

 


 

Note Bibliografiche (^)

  1. Guerra
  2. Stato
  3. Tirannia
  4. Territorialismo
  5. Spazio
  6. Pacifismo
  7. Tolleranza
  8. Mutualismo
  9. Cosmopoli
  10. Panarchia

1. Guerra (^)

Il concetto e il tema della guerra nella storia sono trattati in

  • Gaston Bouthoul, La Guerre, Presses Universitaires de France, Paris, 1973
  • André Corvisier, La guerre. Essais historiques, Presses Universitaires de France, Paris, 1995

Un approccio storico e sociologico al tema della guerra è in

  • Pitirim Sorokin (1957) Social and Cultural Dynamics, Revised and abridged in one volume by the author, Porter Sargent Publisher, Boston

vedi: Part six: fluctuation of war in intergroup relationships

Una semplice trattazione statistica alle guerre nella storia è presente in

  • Jack S. Levy, War in the Modern Great Power System, 1495-1975, The University Press of Kentucky, Lexington, 1983

Una collezione di saggi sulla guerra è

  • Leon Bramson and George W. Goethals, editors (1968) War. Studies from Psychology, Sociology, Anthropology, Basic Books, New York.

Tra di essi vi è il saggio di Bronislaw Malinowski (1941) An Anthropological Analysis of War.

Degno di nota è anche: Harold D. Lasswell (1941) The Garrison State.

Una analisi contemporanea della guerra con scenari sul futuro è in

  • Alvin and Heidi Toffler (1993) War and Anti-war, Warner Books, New York

Il clima di rivalità che preparò il terreno per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è presentato in

  • A. J. P. Taylor (1954) The Struggle for Mastery in Europe, 1848-1918, Oxford University Press, Oxford

Proprio all'inizio del testo troviamo la famosa frase che attribuisce la responsabilità del "bellum omnium contra omnes" non allo stato di natura ma allo stato "tout court" (e cioè all'istituzione politica statuale, territoriale e monopolistica):

“Nello stato di natura immaginato da Hobbes, la violenza era la sola legge, e la vita era 'brutta, brutale e breve'. Sebbene gli individui non siano mai vissuti in questo stato di natura, le Grandi Potenze Europee hanno sempre vissuto così."

Sulla Prima Guerra Mondiale si vedono i materiali a:

Una breve ricostruzione dell'incredibile serie di circostanze che accompagnarono l'uccisione dell'Arciduca e di sua moglie è in

Per quanto riguarda l'intreccio di alleanze che portarono all'ingresso continuo di nuovi stati nel conflitto si veda

L'identificazione delle cause poilitiche della guerra rende necessario fare riferimento allo stato e alle sue caratteristiche.


2. Stato (^)

Per il ruolo dello stato, le funzioni della guerra e il legame tra stato e guerra si vedano i seguenti testi:

"Lo Stato è sinonimo di guerra. Le guerre hanno devastato l'Europa e contribuito a rendere impotenti i Comuni che lo stato non aveva distrutto direttamente." (Piotr Kropotkin)

Per una prospettiva libertaria più recente sul legame tra guerra e stato si veda anche

Degna di nota è anche l'analisi di Rothbard riguardo la realtà dello Stato, con intuizioni penetranti sulla guerra, il territorio e il nazionalismo.

Per Rothbard (sulla scia di Franz Oppenheimer) "lo Stato è la sistematizzazione del processo di rapina su un dato territorio." Inoltre, "la tendenza naturale di uno Stato è di espandere il suo poter, e verso l'esterno questa espansione ha luogo attraverso la conquista di una zona di territorio."

Per una veduta generale sul potere statale

  • Bertrand de Jouvenel (1945) On Power : its nature and the history of its growth (Du pouvoir : histoire naturelle de sa croissance), Liberty Press, Indianapolis, 1993

Per de Jouvenel "lo Stato è in sostanza il risultato del successo conseguito da una banda di briganti che si impone e si sovrappone a piccole società distinte."

Sull'aspetto criminale del potere statale si veda

  • Alex Comfort (1950) Authority and Delinquency in the Modern State. A criminological approach to the problem of power, Routledge & Kegan Paul, London

Per il retroterra ideologico di una guerra infinita contro nemici sempre presenti (i terroristi) e sulla manipolazione delle menti, si veda

  • Sigmund Freud ha espresso alcune considerazioni forti sulla guerra e sullo Stato in (1915) Thoughts for the Times on War and Death. Purtroppo la sua analisi conclusiva è del tutto inadeguata e fuorviante. Il suo saggio è a
    http://www.panarchy.org/freud/war.1915.html

Per una serie di citazioni sulla guerra e sullo stato si vada a

Per la funzione della guerra come un mezzo per costituire e sviluppare una organizzazione sociale centralizzata, si veda

  • Anonymous (1967) Report from Iron Mountain on the Possibility and Desirability of Peace, Penguin, Harmondsworth

Per le uccisioni di massa compiute dallo stato si vedano le ricerche di R. J. Rummel

"La mia stima totale per il democidio a livello mondiale durante il periodo 1900-1999 … è di 174,000,000 persone uccise (dallo stato)." (R. J. Rummel)

Un saggio recente sullo stretto legame tra guerra e lo stato è

Per esempi contemporanei su come la guerra è condotta dallo stato si vedano

Una miniera di dati e di considerazioni interessanti sullo Stato e sulla guerra è in

  • Martin Van Creveld (1999) The Rise and Decline of the State, Cambridge University Press, Cambridge

Si veda anche

  • Charles Tilly (1990) Coercion, Capital, and European States, Blackwell, Oxford, 2001

3. Tirannia (^)

La citazione di Thomas More sul tirannicidio è presa da

  • Thomas More (1516) Utopia

Per una breve rassegna sul tirannicidio e la posizione della Chiesa Cattolica si veda

Sulla Servitù Volontaria che è il terreno più fertile per la tirannia si veda

Per un atto di tirannia come l'imprigionamento dei Giapponesi Americani si può far riferimento a


4. Territorialismo (^)

Una introduuzione al concetto di Territorio è

  • David Storey (2001) Territory. The claiming of space, Pearson Education, London

Per una analisi ecologica critica del territorialismo statale si veda

  • Thom Kuehls (1996) Beyond Sovereign Territory, University of Minnesota Press, Minneapolis

Sul territorialismo nella storia delle relazioni internazionali e sulla sua crisi che questa realtà attraversa si veda

  • Thomas J. Biersteker and Cynthia Weber editors (1996) State Sovereignty as Social Construct, Cambridge University Press, Cambridge

e soprattutto il saggio

Alexander B. Murphy, The sovereign state as political-territorial ideal: historical and contemporary considerations

Uno dei risultati più chiari del territorialismo dello stato moderno è il controllo della circolazione degli individui. A questo riguardo si veda

  • John Torpey (2000) The Invention of the Passport. Surveillance, Citizenship and the State, Cambridge University Press, Cambridge

Per una raffigurazione dello stato e della territorialità nell'epoca attuale si veda

  • Mathia Albert (2001) Territoriality and Modernization

Le ingerenze e i misfatti dei poteri statali territoriali del mondo occidentale sono raffigurati e analizzati nei seguenti libri:

  • William Lederer (1961) A Nation of Sheep, Cassell, London
  • Tristram Coffin (1964) The Armed Society. Militarism in modern America, Penguin Books, Baltimore, Maryland
  • William McGaffin and Erwin Knoll (1969) Scandal in the Pentagon. A challenge to democracy, Fawcett Publications
  • William Blum (2000) Rogue State. A guide to the world's only superpower, Zed Books, London, updated edition 2002
  • John Pilger (2002) The New Rulers of the World, Verso, London, 2003
  • Mark Curtis (2003) Web of Deceit, Vintage, London
  • Philip Sands (2005) Lawless World, Penguin Books, London, 2006

Vedi anche la rivista di Amnesty International magazine (U.K.), in particolare il numero di Gennaio-Febbraio 2006 sulla rete di prigini gestite dagli Stati Uniti attraverso i tiranni loro alleati in alcuni paesi arabi (Egitto, Giordania, Marocco, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Yemen).

Per documenti che mostrano il legame causale tra territorialismo e terrorismo si veda:


5. Spazio (^)

Il termine spazialismo, che è stato utilizzato nel testo con il significato di aterritorialismo, intende sottolineare l'importanza dello spazio e inserire quel concetto nell'agenda dell'organizzazione sociale al posto di territorio. Infatti, lo spazio è un'idea con una validità maggiore rispetto a territorio perché si applica in maniera più appropriata a realtè ecologiche (aperte) e tecnologiche (connesse). Il territorio ha, invece, tutte le limitazioni della sua origine feudale. Inoltre, spazio/spazialismo stimola il concetto di una realtà tridimensionale ampia e aperta, in cui gli individui sono liberi di muoversi ed esplorare (spaziare); territorio/territorialismo invece dà l'idea di confini e limitazioni  (essere bloccato all'interno o essere escluso dall'accesso).

Per l'anarco-spazialismo definito come "un sistema dello spazio privo di poteri dominanti" si veda

Non tutto in questo saggio è concettualmente valido ma rimane comunque un testo breve interessante da leggere.

Per una visione moderna sugli spazi in funzione degli scambi si veda

Un altro aspetto interessante su cui focalizzare l'attenzione ed esaminare da diversi punti di vista (biologico, ecologico, tecnologico, sociale, ecc.) è quello delle dimensioni considerato che il gigantismo è una patologia disfunzionale  che è causa ed effetto dell'imperialismo (e quindi di atteggiamenti e pratiche aggressivi) in tutti i campi.

Un testo classico è

  • D'Arcy Thompson (1917) On Growth and Form

L'idea di una dimensione appropriata, specialmente in riferimento al mondo biologico e, per associazione, all'organizzazione sociale, è stata abbozzata in un saggio breve da

  • J. B. S. Haldane (1927) On Being the Right Size

Altri saggi che vale la pena esaminare sono:

  • Leopold Kohr (1941) Disunion Now : A Plea for a Society Based upon Small Autonomous Units
    http://www.panarchy.org/kohr/1941.eng.html
  • Leopold Kohr (1957) The Breakdown of Nations, Routledge & Kegan Paul, London, 1986
  • Luigi Einaudi (1948) Il mito del colossale
    http://www.panarchy.org/einaudi/colossale.1948.html
  • Ivan Illich (1973) Tools for conviviality, Fontana/Collins, Glasgow, 1975
  • E. F. Schumacher (1973) Small is Beautiful, Economics as if people mattered, Harper & Row, New York, 1975
  • Kirkpatrick Sale (1980) Human Scale, Secker & Warburg, London

Quest'ultimo è un invito molto ben documentato a ridurre le dimensioni degli organismi sociali e a dar vita a comunità indipendenti, al di là del gigantismo e del centralismo.

Lo stesso autore esprime idee di decentralismo, mutualismo e di promozione di comunità ecologiche in

  • Kirkpatrick Sale (1985) Dwellers in the Land. The Bioregional Vision, Sierra Club Books, San Francisco

L'idea di dimensioni appropriate e gestibili non dovrebbe significare un mondo composto da piccole unità isolate. Per contrastare questo punto di vista bisognerebbe insistere fortemente sull'idea di spazio inteso come rete. Da questa prospettiva il mondo intero appare come un piccolo mondo.

Sulla spazio visto come una rete e sul mondo in quanto piccolo mondo si vedano i seguenti testi:

  • John Naisbitt (1994) Global Paradox, Nicholas Brealey, London, 1995

"Quanto più grande è l'economia mondiale, tanto più potenti sono i protagonisti più piccoli." (John Naisbitt)

  • Geoff Mulgan (1997) Connexity, Chatto & Windus, London
  • Mark Buchanan (2002) Small World: uncovering nature's hidden networks, Weidenfeld & Nicolson, London
  • Duncan J. Watts (2003) Six Degrees. The science of a connected age, Norton & Company, New York

Il nuovo motto aggiornato per coloro che sono a favore di un mondo di individui in rete sembra essere: "Mi connetto, quindi esisto." ["I link therefore I am."]

Il collegarsi e il partecipare agli scambi dovrebbe favorire la comprensione reciproca posto che tutto ciò sia basato sullo spazialismo (aterritorialismo) altrimenti potremmo finire come è accaduto per la precedente esperienza di globaqlismo, e cioè con l'imperialismo e il nazionalismo che hanno portato dritto alla Prima Guerra Mondiale.


6. Pacifismo (^)

Per episodi di pacifismo e anti-militarismo durante il corso della Prima Guerra Mondiale si veda

Una poesia satirica sulla guerra (in dialetto romanesco) è

Versi toccanti e forti sulla pazzia della guerra sono in

Per altre poesie sulla Prima Guerra Mondiale si veda

Un romanzo intenso contro gli orrori della guerra è

  • Eric Maria Remarque (1929) Niente di nuovo sul fronte occidentale

da cui è stato tratto il film di Lewis Milestone (1930)
http://en.wikipedia.org/wiki/All_Quiet_on_the_Western_Front_(1930_film)

Un altro film straordinario contro la guerra e contro l'atteggiamento criminale dell'elite militare è

La proiezione di questo film è stata proibita in Francia per molti anni. Questa è un'altra prova che i governanti statali non hanno alcun interesse a presentare con franchezza la natura criminale della guerra.

Stanley Kubrick ha ridicolizzato l'apparato militare nel suo film (1964)

  • Dr. Strangelove, Or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb
    in cui criminalità e follia sono fusi in una satira straordinaria dell'esercito e del potere statale..
    http://www.filmsite.org/drst.html

Sulla bomba come un fenomeno della vita quotidiana da accettare come prodotto della cultura popolare si veda


7. Tolleranza (^)

Desiderius Erasmus (1466-1536)

Su Erasmus si veda

Due scritti classici sulla tolleranza sono:

Per una storia generale sulla nascita della tolleranza si veda

  • Henry Kamen (1967) The Rise of Toleration, Weidenfeld & Nicolson, London

Un saggio abbastanza recente sulla tolleranza è

La frase di Walter Lippmann sullo stato moderno e sulla sua mancanza di tolleranza è presa da


8. Mutualismo (^)

Uno degli scritti classici sul Mutualismo è

  • Piotr Kropotkin (1902) Mutual Aid. A factor of evolution, Allen Lane, London, 1972

Per un testo più recente si veda

Il Mutualismo non dovrebbe essere visto come una concezione che mette l'accento soltanto sulla cooperazione. La competizione, dovunque essa sia attuata con trasparenza, onestà e creatività lungimirante, rappresenta anch'essa uno strumento notevole per l'evoluzione e il miglioramento della vita personale e sociale.

Una simulazione interessante su come la cooperazione (intesa come fiducia e assenza di aggressione) può svilupparsi spontaneamente e liberamente si trova in

  • Robert Axelroad (1984) The Evolution of Co-operation, Penguin, Harmondsworth, 1990

Un altro testo sullo stesso tema è

  • Matt Ridley (1996) The Origins of Virtue, Softback Preview, England, 1997

9. Cosmopoli (^)

Un testo classico è

L'idea di un governo mondiale appare in

Per una proposta simile si veda anche

  • Bronislaw Malinowski (1941) An Anthropological Analysis of War.

In questo saggio l'autore si pone le seguenti domande retoriche:

"Aboliremo la guerra o dobbiamo sottometterci ad essa per scelta o necessità? È desiderabile avere una pace permanente, ed è questa pace possibile? Se è possibile, come possiamo realizzarla con successo"

Malinowski poi risponde che c'è un prezzo per tutto ciò e "il prezzo da pagare è l'abbandono della sovranità statale e la subordinazione di tutte le comunità politiche ad un controllo a livello mondiale."

L'autore conclude dichiarando che "il grande nemico al giorno d'oggi è lo stato sovrano, anche quello che troviamo in una comunità di stati democratici."

L'idea di un governo mondiale promosso da USA, Gran Bretagna e URSS si trova anche in

  • Albert Einstein (1945) Atomic War or Peace, in, Ideas and Opinions, Crown Trade Paperbacks, New York, 1982

10. Panarchia (^)


La persona che ha originato, quanto meno nei tempi moderni, il termine "Panarchia" è stato un botanico Belga, esperto in orchidee, di nome Paul-Emile de Puydt. Nel 1860 egli scrisse un articolo pubblicato sulla  Revue Trimestrielle (Bruxelles) dal titolo "Panarchie." In quell'articolo de Puydt avanzò la proposta di porre fine al territorialismo (la sovranità territoriale dello stato) e di introdurre la tolleranza politica (sul modello della tolleranza religiosa) in base alla quale ognuno poteva associarsi ad un governo da lui scelto e vari governi potevano co-esistere sullo stesso territorio, in competizione tra loro per il supporto politico ed economico del pubblico (come avviene per molti fornitori di servizi pubblici o per circoli e associazioni che sono in concorrenza tra di loro per clienti o iscritti).

Per la traduzione italiana di "Panarchie" si veda

Quello scritto geniale rimase praticamente sconosciuto fino a quando lo storico del movimento anarchico, Max Nettlau, lo riscoprì e scrisse un articolo che apparve nel 1909 sulla rivista tedesca "Der Sozialist."

Dopo di che non molto può dirsi per quanto concerne un dibattito sull'idea estremamente originale di de Puydt fino a quando John Zube ha dato nuova vita alla nozione di Panarchia nell'epoca contemporanea. John Zube è quello che ha fatto più di ogni altro per promuovere l'idea di panarchia con i suoi scritti e le sue varie attività. Per una chiarificazione del concetto si vedano alcuni dei suoi saggi quali:

Altri autori che hanno espresso idee in sintonia con la Panarchia sono:

Per il tema della pluralità di sistemi normativi all'interrno dello stesso territorio si veda

Per un saggio interessante su globalismo e post-territorialismo si veda