Gian Piero de Bellis

Il mito della Svizzera

(Marzo 2011)

 


 

Quando una persona vive una situazione di disagio o di profonda insoddisfazione è estremamente facile rifugiarsi in miti creati nel proprio immaginario. Io sono di quella generazione che di miti ne ha creati parecchi: Mao Tse-Tung e la Cina delle guardie rosse, Fidel Castro e la rivoluzione cubana, Che Guevara e la lotta di liberazione dei popoli. Forse per questo ho orrore di tutti i miti, grandi e piccoli. Al tempo stesso cerco di non scendere nel cinismo più nero perché, pur rifiutando i miti, credo che tutti noi abbiamo bisogno di esempi, di modelli, di realtà che suscitano simpatia e la voglia di ispirarci, in parte o in tutto, da loro.

In tempi abbastanza recenti, in presenza di una oppressione fiscale allucinante, di una ingerenza burocratica asfissiante, di un parassitismo dilagante e di una caduta verticale delle speranze di uscirne fuori, molti in Italia hanno iniziato a coltivare nuovi miti per cercare di risollevarsi dal profondo sconforto in cui sono caduti.

Alcuni, contagiati dalle vicende americane, si sono rifugiati nel mito di Obama, il nuovo Roosevelt che risolverà i problemi di tutti coloro che sono immersi in una grande crisi economica e culturale; altri, di segno ideologico opposto, si sono fatti affascinare dal mito del Tea Party che ridurrà le tasse per tutti ristabilendo al tempo stesso il prestigio dell'America nel mondo come unica, vera e legittima superpotenza.

Da qualche tempo a questa parte mi sembra poi che un mito più modesto ma forse più interessante perché più fondato sulla realtà, stia emergendo presso alcuni.

In un sondaggio effettuato nel 2010 tra la popolazione delle province di Como e di Varese, moltissimi si sarebbero dichiarati a favore di una adesione territoriale alla Svizzera. Inoltre, ogni giorno quasi 50mila pendolari si muovono dalla Lombardia in Ticino per lavoro.

Per queste e per molte altre persone la Svizzera è ed appare come un paese ad alti salari, bassa pressione fiscale, ridotta invadenza della burocrazia; per questi motivi ci sono anche ditte italiane e di altri paesi europei che si spostano in Svizzera in aree industriali appositamente attrezzate. In sostanza esistono ragioni sufficienti per alimentare il mito della Svizzera.

Lo chiamo mito perché, alla messa in luce di fatti e dati noti, estremamente positivi, si associa la messa in ombra o la non conoscenza di altri dati e fatti meno noti e alquanto negativi.

Detto questo premetto, a scanso di equivoci, che il sistema Svizzera rimane la punta più avanzata in Europa, ma non è certo l'ultima tappa sulla strada della liberazione degli individui.

Allora vediamo quali sono questi aspetti negativi, almeno nell'ottica di una persona amante della libertà e contraria ai privilegi. Qui ne esamino brevemente solo due:

1. Il blocco pressoché totale di qualsiasi ingresso, anche solo temporaneo, di persone provenienti da paesi non europei. Espongo un caso personale per chiarire di cosa parlo. Quando mi sono installato a Saint-Imier (Cantone di Berna) per mettere su un Centro di Documentazione mi sono ricordato di una persona conosciuta in Burkina Faso che avrebbe potuto darmi una mano nella fase preparatoria. Questo gli sarebbe servito anche per una esperienza sulle tecniche di documentazione e di catalogazione che avrebbe poi utilizzato di ritorno nel suo paese. Quindi è stata fatta regolare richiesta per un permesso di 3 mesi per uno stage di lavoro e di studio, spese di vitto e alloggio assicurate, nessun carico di alcun genere per gli abitanti della Confederazione. A quel punto è iniziato un balletto burocratico, in perfetto stile italiano, che si è risolto in un nulla di fatto e che mi ha fatto capire come la funzione di base della burocrazia sia di prendere in giro la gente, sia in Svizzera (talvolta) che in Italia (quasi sempre). Affascinato dal modello della Svizzera, a un certo punto ho anche pensato che fosse il mio essere straniero, che voleva far venire uno straniero, ad essere la causa del rifiuto ad ottenere il visto. Allora, quando un circolo culturale del luogo ha messo un avviso alla ricerca di una persona per gestire il settore video per alcuni mesi, mi sono detto che l'offerta cadeva a proposito perché la qualifica della persona che volevo far venire era proprio nel settore in questione. Tutti contenti (io, il mio amico, quelli del centro culturale) tranne che non avevamo fatto i conti con la burocrazia. Lo stato, che come afferma giustamente Max Weber, ha il monopolio territoriale della violenza, ha fatto capire, sempre indirettamente, che sono loro che decidono chi può entrare o non entrare nel LORO territorio. Chiaramente questa è la mentalità Al Capone che non ha nulla a che fare con la concezione libertaria. Se centomila persone volessero venire a vivere a Saint-Imier la prossima settimana potrei capire la cosa, ma Saint-Imier ha perso e mai recuperato 3000 abitanti a seguito della devastante crisi orologiera degli anni '70. Quindi, traete voi le conclusioni.

2. L'aiuto e i privilegi concessi alle banche e alle società assicurative da parte dello stato. La Svizzera è un paese che ha una varietà eccezionale di imprese eccezionali, dalla Nestlé alla Logitech, da Novartis a Rolex e così via. Quindi mi arrabbio quando sento identificare la Svizzera con le banche o la ricchezza degli svizzeri con il fatto che qui affluiscono soldi da tutto il mondo. Innanzitutto perché soldi affluiscono anche sulle piazze di Parigi, Londra e New York; e poi perché identificare i soldi in una banca con il benessere di una popolazione è proprio una cialtronata che si adatta solo alla mentalità mercantilista e furfantesca di un tremonti qualsiasi. Al tempo stesso va detto che le banche, se non sono fonte di reddito per la popolazione (se non per quelli che ci lavorano) sono fonte di introiti per le casse della Confederazione (tasse sugli utili) e quindi, nel corso del tempo si è creato un rapporto malsano tra potere statale e potere bancario, una sorta di mafia in cui entrambi si coprono e si proteggono a vicenda. Per cui quando l'UBS, dopo anni di incassi colossali a seguito di manovre arrischiate su tutti gli scenari del mondo, si è trovata nel bisogno impellente di liquidità se no le cose si mettevano molto male, chi è intervenuto a salvarla? Non c'è neanche da chiederselo: la Confederazione, effettuando un prestito (68 miliardi di franchi svizzeri) con i soldi di tutti i cittadini. Se vogliamo avere una idea di come, anche in Svizzera, il cosiddetto “capitalismo” della finanza prevalga sul sistema della libera impresa produttiva dobbiamo solo riflettere su alcune cifre rese note nei giorni scorsi:

- UBS profitti nel 2010: 7.2 miliardi di Franchi Svizzeri

- Credit Suisse profitti nel 2010: 5.3 miliardi di Franche Svizzeri

- Gruppo Swatch profitti nel 2010: 1 miliardo di Franchi Svizzeri

Quindi, il gruppo industriale più grande del settore orologiero svizzero, in un anno eccezionale per la produzione, ottiene un profitto di gran lunga inferiore ai venditori di fumo e agli strozzini di professione che sono i due gruppi bancari per eccellenza. Non c'è quindi da stupirsi che Nicolas Hayek, il patron del Gruppo Swatch, morto di recente, considerasse le banche delle sanguisughe e dei parassiti.

In sostanza, pur riconoscendo a questo miscuglio di popoli e di cantoni che compongono ciò che si chiama Svizzera un modo di vivere e di lasciar vivere che non ha confronti al mondo, per un libertario la Svizzera deve essere non un punto di approdo ma un trampolino di lancio per esperienze ancora più avanzate di libertà e di sviluppo personale, in un mondo composto da società volontarie in cui la libera circolazione di persone, prodotti, idee non è una formula vuota ma una realtà talmente naturale e scontata che uno poi non se ne accorge nemmeno, proprio come l'aria che respiriamo.

 

 


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