Gian Piero de Bellis

Oltre lo stato – Oltre il mercato (I)

(Gennaio 2013)

 


 

Franz Oppenheimer, nel suo testo Der Staat (1908) introduce una interessante distinzione tra due modi impiegati per conseguire i mezzi necessari al proprio sostentamento: l'appropriazione e la produzione. Egli qualifica il primo come il modo politico (il furto dei prodotti del lavoro altrui) e il secondo come il modo economico (la produzione e lo scambio di beni attraverso l'applicazione del proprio lavoro).

Questa distinzione è, a prima vista, estremamente valida se non fosse che, nella realtà dei fatti, essa risulta spesso poco pertinente soprattutto perché, nel corso del secolo ventesimo, gli incroci tra politica ed economia sono stati molteplici e la politica e l'economia hanno finito per modellarsi l'una sull'altra, recependo in maniera vicendevole strumenti e comportamenti.

Questo è stato a tal punto chiaro che, in un testo pubblicato nel 1957 (An Economic Theory of Democracy), Anthony Downs ha applicato gli strumenti dell'economia al processo decisionale in politica.
In effetti, se prendiamo in esame le seguenti equazioni: politica=stato ed economia=mercato, le somiglianze tra politica ed economia e, conseguentemente, tra stato e mercato, sono notevoli.
Esaminiamone alcune:

  • Concorrenza. In politica abbiamo la concorrenza tra partiti che cercano di vendere al pubblico la loro ideologia e le loro ricette. In economia abbiamo la concorrenza tra ditte che vogliono vendere i loro prodotti. Il tutto generalmente in un ambito nazionale.
  • Marketing. Il marketing per vendere la propria ideologia e le proprie ricette (solitamente un misto di principi fasulli e di promesse del tutto illusorie) si chiama, in politica, propaganda. In economia si parla, invece, di pubblicità; ma l'obiettivo di convincere le persone con lusinghe e allettamenti (talvolta non del tutto veritieri) è lo stesso.
  • Finalità. In politica la finalità ultima è di far aderire alle proprie posizioni il massimo numero di persone per conseguire il massimo di potere. In economia parliamo di convincere il maggior numero di potenziali consumatori per conseguire il massimo di profitto.
  • Breve periodo. Sia la politica che l'economia si occupano del breve periodo. A questo riguardo basta citare due frasi divenute famose: (a) Una settimana è un periodo lungo in politica (Harold Wilson, uomo politico inglese); (b) Nel lungo periodo siamo tutti morti (John Maynard Keynes, economista);
  • Illusione di sovranità. Sia in politica che in economia si cerca di vendere l'illusione della sovranità dell'individuo (sovranità dell'elettore, sovranità del consumatore). Ma, essendo sia la politica-stato che l'economia-mercato il regno delle masse e dei grandi numeri, la sovranità è e rimane una illusione. Per l'individuo singolo non organizzato influenzare le scelte dei gruppi politici ed economici è davvero una pia illusione. Per fare ciò egli deve diventare uomo-massa, e ciò è il segno più evidente che gli individui singoli non contano quasi nulla.
  • Messaggio totalizzante. Sia la politica che l'economia vogliono imporsi come categorie interpretative e strumenti risolutori totalizzanti. Per alcuni tutto è politica, anche il personale è politico, e per questo il soggetto politico massimo, lo stato, deve avere sempre l'ultima parola (potere decisionale); per altri tutto è economia, tutto è spiegabile attraverso l'economia, e qualsiasi scambio è uno scambio economico che avviene attraverso il mercato, che quindi deve essere il foro massimo di decisione (decide il mercato).
  • Tutto è in vendita. Il punto di maggior contatto tra gli assolutisti della politica e quelli dell'economia è qualcosa che non viene detto apertamente da nessuno, e cioè che tutto è in vendita: voti, favori, posti, licenze, prebende, influenze, entrature, dati personali, pettegolezzi, foto compromettenti, monumenti, spiagge, fiumi, ecc. ecc. oltre che, naturalmente, beni e servizi di ogni tipo.

Se le cose stanno così, se cioè è vero che c'è una somiglianza notevole, nei fatti, tra politica ed economia e quindi tra stato e mercato, una strategia di liberazione non solo non può basarsi sugli strumenti convenzionali della politica e dell'economia ma non si può basare neanche sulla proposizione del mercato come antitesi allo stato.
A dire il vero, storicamente parlando, i mercanti non sono mai stati in opposizione al potere politico (il re, il parlamento) ma ne hanno sempre cercato i favori e la protezione. E queste sono sempre state concesse perché il potere politico vedeva i mercanti e il mercato come soggetti e opportunità per l'estrazione di un guadagno attraverso la tassazione.

Ma allora, se vi è sostanziale compenetrazione e identità di comportamenti e di vedute tra stato e mercato, come è possibile che ci siano persone che si pongono dalla parte dell'uno o dell'altro come se parlassero di realtà contrapposte?
Questo a mio avviso è avvenuto e avviene perché abbiamo a che fare con individui che hanno trovato conveniente utilizzare etichette ideologiche diverse (l'ideologia dello stato e l'ideologia del mercato) per crearsi un seguito, al fine di imporsi e prevalere sugli altri. Questo appare in tutta chiarezza quando, giunti al potere, gli uni e gli altri applicano le stesse ricette e mettono in atto gli stessi comportamenti.

Entrambi poi non si rendono conto (o non vogliono rendersi conto) che sia lo stato che il mercato sono espressioni di realtà di massa, profondamente anti-individualiste.
Per illustrare banalmente ciò ricorro ad una esperienza personale. In un supermercato a Oxford, in un quartiere di studenti, la passata semplice di pomodori quasi non esiste, devi andare a cercarla con meticolosa cura. In bella evidenza ci sono salse per tutti i gusti, salse già pronte per un mercato di gente che vuole cibi già pronti, da riscaldare e mangiare.
Uno potrebbe dire: questo è il mercato, e non si sbaglierebbe.
Al che un altro potrebbe ritorcere: queste sono le masse, e anche in questo caso non si sbaglierebbe.

In sostanza, con l'affermarsi della centralità dei consumi rispetto alla produzione siamo passati dalle masse proletarie produttrici alle masse proprietarie consumatrici. Ma sempre di masse si tratta, di mercato di massa e quindi di non-individualità.
La realtà quindi è che gli individui, i singoli, gli eccentrici, i devianti, sono schiacciati non solo dal pachiderma politico (stato) ma anche, in una certa misura, dal pachiderma economico (mercato).

Lo stato e il mercato sono l'arena delle masse. Quello che va bene alle masse è quello che modella sia lo stato che il mercato. Le individualità in questi ambiti svolgono un ruolo del tutto secondario o addirittura non hanno alcuna voce.
In sostanza, stato e mercato, per quanto possa apparire strano ad alcuni, sono entrambi fenomeni del collettivismo e della società di massa del secolo o dei secoli passati.

In quanto fenomeni del passato essi stanno per essere superati da nuove realtà progettate e volute da nuovi esseri umani.

Vediamo allora come potrebbe essere caratterizzata e costruita una realtà oltre lo stato (politica) e oltre il mercato (economia).

 


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