Gian Piero de Bellis

Il capitale versione Qui Quo Qua

(Agosto 2011)

 


 

La scuola di stato, ben lo sappiamo, produce guasti enormi nel cervello degli individui in termini di disinformazione e di incapacità a ragionare in maniera critica e logica. Questi guasti uno se li porta dietro per anni a meno che non abbia il tempo e la voglia di compiere, in maniera autonoma, un percorso di disalienazione e di disintossicazione.

La disinformazione come distorsione della realtà e dei concetti base del discorso scientifico è evidente soprattutto nel campo delle scienze sociali e in quelli che sono stati e sono tuttora i temi del dibattito economico e politico. Lo stato ha coperto questi temi e concetti di un manto di falsità e di banalità ed è intorno a queste falsità e banalità che molte persone discutono e si azzuffano, con il risultato che il loro discutere-agire è un groviglio di parole senza fondamento e di interventi senza costrutto.

Prendiamo ad esempio la nozione che molti hanno del capitale e del capitalismo. Per moltissime persone il capitale non è altro che un pacco di soldi e il capitalista colui che ha fatto una montagna di soldi. In sostanza questa è l'immagine che hanno Qui Quo Qua dello zio Paperone che fa il tuffo nel suo forziere pieno di monete. Va tenuto però conto che, nel caso di Qui Quo Qua, abbiamo a che fare con racconti a fumetti per la gioia e il divertimento dei bambini. Quando i bambini diventano grandi e credono ancora a queste cose allora abbiamo a che fare con dei cretinetti che sono rimasti bambini. Ed è proprio sul fatto di rimanere cretinetti-bambini che lo stato si garantisce la continuazione del suo dominio.

Allora, vediamo che cosa è il capitale.

Innanzitutto va detto che il termine capitale ha come origine etimologica la parola latina caput (testa) e, in questo caso, la testa delle bestie di proprietà di un allevatore (in sostanza i capi di bestiame). Per il contadino-allevatore e per tutti gli altri che vivevano in una società pre-industriale, la proprietà di mucche e tori era “il capitale” in quanto mucche e tori erano “macchine” per la produzione (latte, carne, cuoio, corno). Inoltre erano strumenti di scambio nel senso che si potevano scambiare con altri beni (ad es. un appezzamento di terreno).

Quindi, non appena parliamo di capitale emerge questo aspetto legato alla produzione e allo scambio di beni.

A questo punto vediamo brevemente come gli economisti classici (Smith, Ricardo, Marx) definiscono il capitale.

Adam Smith opera una distinzione riguardo ai beni in possesso di una persona: "Quella parte da cui egli si attende di ricavare un reddito è chiamata il suo capitale. L'altra è quella destinata al suo consumo immediato." (1776, Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, Libro II, capitolo 1)

Per Ricardo "Il capitale è quella parte della ricchezza di un paese che è impiegata nella produzione, e consiste di cibo, indumenti, strumenti, materie grezze, macchinari, ecc. necessari per rendere produttivo il lavoro." (1817, David Ricardo, Principi di Politica Economica e Tassazione, Capitolo V, Sui salari)

Infine, per Marx "Il capitale consiste di materie grezze, strumenti di lavoro e mezzi di sussistenza di ogni tipo, che sono impiegati al fine di produrre nuovi materiali grezzi, nuovi strumenti di lavoro e nuovi mezzi di sussistenza."  Un po' più oltre egli aggiunge "Il capitale è anche un rapporto sociale di produzione." (1849, Karl Marx, Lavoro salariato e capitale)

In sostanza si afferma a chiare lettere che il capitale è qualcosa che serve alla produzione; e senza questo legame indissolubile con la produzione non possiamo parlare di capitale. Per questo i soldi, a meno che non servano per l'acquisto di macchinari o di strumenti di produzione, non sono capitale. Coloro che si ostinano a identificare i soldi con il capitale (talvolta come il solo vero capitale) e i riccastri con i capitalisti si comportano come chi, vedendo un cumulo di mattoni dicesse: ecco un palazzo; e vedendo degli operai intorno (che potrebbero essere lì per portare i mattoni in discarica), dicesse: ecco gli inquilini proprietari.

Certamente qui non si vuole negare che i soldi possano diventare capitale (ad es. attraverso l'acquisto e conseguente impiego di macchinari per la produzione di beni e servizi) come i mattoni possono diventare palazzi; qui si vuole negare semplicemente e categoricamente che i soldi siano di per sé stessi capitale e che quelli che hanno i soldi siano di per sé stessi capitalisti.

Eppure questo è quello che molti fanno, spesso non in maniera diretta ma implicita.

Se fosse vero che i soldi fossero capitale allora le persone dovrebbero chiedersi come mai il più grande afflusso di oro che la storia abbia mai visto, e cioè i galeoni che arrivavano in Spagna dall'America Latina nel corso del XV e XVI secolo, abbiano avviato la decadenza della Spagna e non il suo dominio economico a livello mondiale. Eppure portavano “capitale” fresco, barre d'oro che si potevano trasformare in monete d'oro e che, nel pensiero corrente, costituivano masse enormi di capitali a disposizione dei capitalisti spagnoli.

Ma quali capitali? E quali capitalisti?

Gli spagnoli dei secoli in oggetto erano parassiti che vivevano di rendita, altro che capitalisti!

Il capitalista è colui che ha una idea e la sa trasformare in produzione di beni per il soddisfacimento di bisogni. Il capitalista è Richard Arkwright, di professione barbiere, il quale, pur senza avere il becco di un quattrino, individuò le potenzialità produttive della spoletta volante e del telaio meccanico, e trovò persone disposte a finanziarlo trasformando i loro beni (terreni, bestiame e anche soldi) in capitale cioè in officine e macchinari per la nascente industria tessile.

Questo è uno dei motivi principali per cui la Rivoluzione Industriale scoppiò in Inghilterra e non in Spagna. In Inghilterra avevano le idee e le persone piene di energia e di voglia di fare e su quella base sono emersi capitali (macchinari) e capitalisti (imprenditori); in Spagna avevano i soldi (montagne di oro) e i consumatori (la burocrazia parassitaria, l'aristocrazia delle rendite) e sono lentamente sprofondati in una decadenza secolare.

Questo sviamento colossale consistente nell’identificare i soldi con il capitale è un vecchio abbaglio della teoria mercantilista già ridicolizzato da Adam Smith.

I guasti profondi di questo errore mostruoso li vediamo nel fatto che i teorici attuali del neo-mercantilismo (gli economisti keynesiani) pensano che stampando cartamoneta si riavvierà il processo inceppato dell'economia come se la moneta fosse, di per sé stessa, capitale.

Lo stesso avveniva (e avviene tuttora) nell'ambito dei discorsi sullo sviluppo, quando gli economisti sostenevano che il Terzo Mondo mancasse di “capitali” intesi come denaro e quindi era indispensabile (secondo loro) far affluire montagne di soldi per avviare l'industrializzazione e il decollo economico.

L'unica cosa che non solo è decollata ma è esplosa è la corruzione endemica per cui, là dove maggiormente sono affluiti i soldi (Africa sub-sahariana) là sono scomparsi capitali e capitalisti e si sono moltiplicati assistiti e parassiti.

Purtroppo per molti è difficile superare luoghi comuni assorbiti in giovane età e che sono diventati schemi automatici di ragionamento; ma se non si riesce in questa impresa sarà praticamente impossibile diventare persone ragionevoli e autonome.

Quello che è accaduto al concetto di capitale è molto spesso vero anche riguardo alle idee di quel pensatore che è stato raffigurato come l'anti-capitale e l'anti-capitalista per eccellenza. Faccio naturalmente riferimento a Karl Marx.

Ma di questo nel prossimo scritto: Karl Marx versione Quaquaraquà.

 

 


[Home] [Top] [Sussurri & Grida]