Gian Piero de Bellis

Chi ha paura di Karl Marx?

(Settembre 2014)

 


 

Nel 1962, il commediografo Edward Albee raffigurò in Chi ha paura di Virginia Woolf? gli screzi amari di una coppia di mezza età, travolta da illusioni e delusioni per un figlio mai nato. Il titolo del lavoro teatrale è preso dalla canzoncina Chi ha paura del Lupo Cattivo? del cortometraggio di Walt Disney, I Tre Porcellini.  
Come messo in rilievo dall’autore “chi ha paura di Virginia Woolf significa chi ha paura del lupo cattivo … chi ha paura di vivere una vita senza false illusioni.”

Nel corso del secolo passato, le controversie e le lotte intellettuali tra liberali e socialisti sono state intense e ricorrenti. Queste aspre diatribe hanno fatto riferimento, molto spesso, ad un pensatore, Karl Marx, presentato, in base alle rispettive vedute politiche, o come un diavolo distruttore o come un angelo salvatore. Nulla di strano, considerato che Karl Marx è, probabilmente, il massimo esponente teorico del socialismo, e che i liberali classici (da Bastiat a Hayek) sono stati del tutto avversi alle presunte virtù salvifiche del socialismo.

E tuttavia, secondo alcuni, la controversia non sarebbe mai dovuta sorgere perché, come sottolineato da un famoso sociologo americano, “Gli aspetti di maggior valore del liberalismo classico sono incorporati nella maniera più valida e fruttuosa nel Marxismo classico.” (Charles Wright Mills, The Marxists, 1962).
Eppure lo scontro ha avuto luogo. Una spiegazione di perché ciò sia avvenuto risiede, a mio avviso, nel fatto che molti liberali e socialisti hanno manipolato e distorto le idee di Marx per adattarle ai propri schemi, interessi e agenda politica. Ne è venuto fuori un cumulo di illusioni mentali e di delusioni pratiche, sintomo di un disagio intellettuale ed emotivo profondo; come se entrambi, liberali e socialisti, avessero paura di confrontarsi con il vero Karl Marx.
Le deformazioni delle idee di Karl Marx erano emerse già ai suoi tempi, al punto che Friedrich Engels scrisse in una lettera che Marx stesso aveva affermato una volta: “Per quanto mi riguarda, io non sono un marxista.”

Quindi, se formuliamo la domanda: Chi ha paura di Karl Marx? potremmo rispondere in maniera abbastanza corretta: i liberali e i socialisti.
Ma una ulteriore domanda emerge spontaneamente: Perché hanno paura di Karl Marx?
Infatti, se accettiamo come vera l’affermazione di Charles Wright Mills, non ci dovrebbe essere alcuna ragione, per liberali e socialisti, di avere paura di Karl Marx, in quanto il socialismo sarebbe una filiazione del liberalismo. A meno di esaminare non solo ciò che i liberali e socialisti classici hanno detto e sostenuto, ma anche quello che i partiti liberali e socialisti e i loro attivisti hanno voluto e realizzato nel secolo passato. E confrontare tutto ciò con le idee di Karl Marx.

Per fare ciò dobbiamo compiere un breve excursus che si focalizza su sette aspetti della visione di Marx, che sono diventati, nel corso del tempo, i sette peccati capitali della distorsione e manipolazione delle sue idee.

  1. Il modo capitalistico di produzione. Marx è stato un sostenitore convinto del “modo di produzione capitalistico” (nei suoi scritti egli non ha quasi mai usato il termine “capitalismo”). I suoi interessi vertevano sulla tecnologia, sulla produzione e sulla organizzazione del lavoro. Egli voleva che il modo di produzione capitalistico si diffondesse in tutto il mondo perché solo allora, con l’abbondanza di beni prodotti e con le macchine che effettuavano la maggior parte del lavoro, la sua visione di una società socialista poteva diventare realtà.
  2. Il libero commercio. Marx è stato un campione del libero commercio perché “il sistema protezionistico dei giorni nostri è conservatore” mentre “il libero scambio accelera la rivoluzione sociale” attraverso lo sviluppo a livello mondiale di una serie continua di scambi produttivi. (Karl Marx, Sulla questione del libero scambio, Discorso pubblico pronunciato da Karl Marx di fronte alla Associazione Democratica di Bruxelles, 9 Gennaio 1848).
  3. Cosmopolitismo. Marx non ha dedicato molta attenzione al nazionalismo che era, per lui, una causa inutile e una realtà sorpassata. Nel Manifesto dei Comunisti egli ha messo in rilievo, forse con troppo entusiasmo e una larga dose di pie illusioni, che “l’unilateralità e le ristrettezze mentali del nazionalismo diventano sempre più impossibili” e che “la borghesia ha dato un carattere cosmopolita alla produzione e al consumo in ogni paese.” (Karl Marx and Friedrich Engels, Il Manifesto dei Comunisti, 1848).
  4. Fine del lavoro dipendente. Per Marx l’obiettivo finale era il superamento di un lavoro penoso sotto un padrone sfruttatore. Egli ha scritto: “Invece del motto conservatore : ‘Un salario giusto per un giusto lavoro!” essi [i lavoratori] dovrebbero scrivere sulle loro bandiere la frase rivoluzionaria: ‘Abolizione del sistema salariale!’” (Karl Marx, Salari, Prezzo e Profitto 1865). In altre parole, ognuno dovrebbe diventare un produttore indipendente, e cioè un vero e proprio capitalista (proprietario dei mezzi di produzione).
  5. Riduzione della giornata lavorativa. L’ampliamento massiccio della produzione, provocato dalla introduzione, dappertutto, del modo di produzione capitalistico e dai suoi continui miglioramenti (“la borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione”- Il Manifesto dei Comunisti, 1848) avrebbe necessariamente portato alla diminuzione drastica del tempo dedicato al lavoro. Per Marx, l’emancipazione dei lavoratori è possibile solo con “la riduzione della giornata lavorativa” (Karl Marx, Il Capitale, Libro III, 1894) e in presenza di una elevata produttività del lavoro.
  6. Estinzione dello stato. Marx è stato uno dei primi a mettere in luce le collusioni tra i governanti statali e i proprietari dei mezzi di produzione (quello che sarà in seguito definito “crony capitalismo”). Per Marx “il potere politico dello stato moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la borghesia.” (Il Manifesto dei Comunisti, 1848). Per questo, l’estinzione dello stato costituiva per lui e per Engels una condizione indispensabile per l’emancipazione dei lavoratori e la liberazione degli individui. Engels, ad esempio, mette definitivamente in chiaro che il destino dello stato è di finire "nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all'ascia di bronzo.” (Friedrich Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, 1884).
  7. Passaggio al regno della libertà. Con il superamento dello stato, una elevata produttività del lavoro e un tempo ridotto per produrre i beni necessari alla vita, le condizioni erano mature per il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà. “In effetti, il regno della libertà inizia nei fatti solo quando il lavoro che è determinato dalla necessità e dalle considerazioni esterne cessa; si trova quindi, per sua natura, oltre la sfera della produzione materiale vera e propria.” (Karl Marx, Il Capitale, Libro III, 1894)

Ora, se osserviamo gli avvenimenti del ventesimo secolo scopriamo che, su ogni singolo punto, gli interessi e l’agenda dei liberali e dei socialisti, raggruppati in partiti nazionali, sono stati diametralmente opposti alle idee di Marx.
Esaminiamo ciò in maniera molto sintetica.

  1. Controllare la diffusione del modo di produzione capitalistico. Gli esponenti politici ed economici di stampo liberale dell’Inghilterra capitalistica non erano affatto favorevoli alla diffusione del modo capitalistico di produzione nell’Europa continentale e altrove. Questo avrebbe significato, per l’Inghilterra, perdere la sua posizione di supremazia economica come “officina del mondo”. 
  2. Introdurre tariffe e quote per proteggere la produzione nazionale. I capitalisti nazionali e gli esponenti dei sindacati a base nazionale sono sempre stati sospettosi se non addirittura fortemente opposti al libero commercio. John Maynard Keynes, membro importante del partito liberale inglese, arrivò persino a criticare il libero scambio nel suo scritto National Self-Sufficiency (1933). (Versione italiana: Autarchia Economica).
  3. Favorire il nazionalismo e la formazione di stati nazionali. I liberali sono stati in prima linea nelle lotte nazionali e nella formazione degli stati nazionali. I partiti socialisti si sono organizzati su base nazionale e i loro rappresentanti in parlamento non hanno avuto alcuna esitazione ad allinearsi sotto le bandiere dei loro stati nazionali in quella carneficina che è stata la Prima Guerra Mondiale.
  4. Promuovere la diffusione di occupazioni dipendenti per tutta la popolazione. La piena occupazione e un lavoro dipendente a tempo pieno in una impresa sono state le promesse e i sogni di tutti gli uomini politici, che fossero liberali o socialisti. Tuttavia, questo non ha nulla a che vedere con l’idea di produttori autonomi indipendenti che i liberali e i socialisti sostenevano originariamente.
  5. Mettere da parte o contrastare l’obiettivo della riduzione della giornata lavorativa. I liberali e i socialisti hanno totalmente trascurato questa finalità che era centrale nel pensiero di Marx. Probabilmente perché ciò avrebbe significato per gli individui avere più tempo libero per accedere all’informazione e sviluppare la conoscenza. Questa è la strada migliore verso l’autonomia personale, ma rappresenta anche un risultato pericoloso per tutti gli uomini politici (liberali e socialisti inclusi).
  6. Considerare lo stato come una entità indispensabile. L’idea di Marx dell’estinzione dello stato è stata ignorata e messa in sordina da coloro che volevano che lo stato proteggesse la proprietà (i liberali) o difendesse i lavoratori (socialisti). In realtà, i liberali e i socialisti hanno considerato lo stato una entità indispensabile in modo da mantenere in vita il capitalismo e il sindacalismo corporativi (il complesso padronal-sindacale). Persino un liberale classico come von Mises è arrivato a scrivere: “Per il liberale, lo stato è una assoluta necessità dal momento che i compiti più importanti spettano a lui: la protezione non solo della proprietà privata, ma anche della pace, in quanto in assenza di pace tutti i benefici della proprietà privata non possono essere colti.” (Liberalismo, 1927)  
  7. Assumere l’esistenza della scarsità e delle crisi come un dato permanente. I liberali e i socialisti non hanno mostrato alcun interesse nel passaggio dal regno della necessità a quello della libertà. Essi volevano che gli individui rimanessero in uno stato di tensione e insicurezza permanenti. Solo così loro potevano sopravvivere e prosperare come governanti e fornitori di assistenza. A questo scopo, la distruzione delle risorse e la promozione dei conflitti sono state le loro armi ricorrenti.

Per cui sembra del tutto corretto affermare che, nel corso del secolo passato, liberali e socialisti hanno avuto paura di affrontare il vero Marx e ne hanno confezionato uno che era o un uomo di paglia da attaccare (liberali) o un pupazzo di cera da modellare (socialisti). E questo per salvaguardare i rispettivi interessi politici che, spesso, poco o nulla avevano a che fare con il liberalismo e con il socialismo.

Molti vivono ancora succubi, spesso inconsciamente, di quella manipolazione intellettuale e mistificazione politica. La soluzione che si suggerisce qui non è un ritorno a Marx (anche se una conoscenza di Marx non è cosa da sottovalutare) ma l'andare oltre il liberalismo e il socialismo come si sono evoluti durante il secolo ventesimo. E, al tempo stesso, recuperare ciò che è eternamente valido in tali concezioni (autonomia, equità), e applicarlo in modi nuovi e originali, alla propria vita personale e di relazioni.

 

 


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