Gian Piero de Bellis

Ideologia capitalistica e modo di produzione capitalistico

(Febbraio 2017)

 


 

Molto spesso le confusioni e incomprensioni che sorgono nell’ambito delle scienze sociali sono il frutto di un uso poco accurato o del tutto ambiguo dei termini. Questo è quanto mai evidente nelle scienze politiche ed economiche. Un esempio classico è costituito dal termine «  capitalismo  ».

Sotto la qualifica di «  capitalismo  » possiamo trovare di tutto e di più, vale a dire disparate caratterizzazioni che scaturiscono da opposte visioni concernenti l'organizzazione sociale voluta. Chiaramente, stando così le cose, il termine non ha alcun valore scientifico, né teorico né pratico.

Meglio sarebbe allora non utilizzare più un sostantivo così generico e così ambiguo sotto il profilo della comunicazione, e concentrare l’attenzione e la discussione su due aspetti storicamente ben più concreti e identificabili:
- l’ideologia capitalistica
- il modo di produzione capitalistico.

L’ideologia capitalistica
Sotto l’espressione «  ideologia capitalistica  » si possono catalogare alcuni aspetti che i sostenitori (e spesso anche gli avversari) del capitalismo ritengono propri di questa concezione. Metterli in luce permette di valutare se essi siano o meno aspetti propri del capitalismo, o se altri lo caratterizzino in maniera più appropriata. Essi sono:

- la proprietà privata
- la libera attività economica
- la ricerca del profitto.

Una seppur brevissima riflessione su questi tre aspetti dovrebbe convincere una persona sensata, che ha una qualche esperienza della vita e delle persone, che questi aspetti (proprietà, libertà, profitto) sono delle costanti nella storia umana e non il portato di una specifica ideologia nota sotto il nome di «  capitalismo  ». Infatti:

- la proprietà privata è un fenomeno che esiste da tempo immemoriale, sia per quanto riguarda oggetti di uso personale che piccole o grandi estensioni di terra (latifondi, feudi, piccola proprietà contadina, ecc.) e abitazioni (dalla capanna al palazzo signorile);
- la libera attività economica anch’essa esiste da sempre, come realtà o come aspirazione; la si ritrova nell’artigiano ai tempi dei Greci e dei Romani, nei commercianti Fenici che solcavano il Mediterraneo, e via via lungo il corso della storia, laddove essa non è stata soffocata da potenti individui o gruppi che la rivendicavano solo per sé stessi.
- la ricerca del profitto è parte della natura umana. Come sottolineato da Max Weber «  la sete di lucro, l'aspirazione a guadagnare denaro più che sia possibile, non ha di per sé stessa nulla in comune col capitalismo. Questa aspirazione si ritrova preso camerieri, medici, cocchieri, artisti, cocottes, impiegati corruttibili, soldati, banditi, presso i crociati, i frequentatori di bische, i mendicanti … in tutte le epoche di tutti i paesi della terra, dove c'era e c'è la possibilità obiettiva.  »

Quello che si può affermare però come caratterizzante l’ideologia capitalistica è il fatto che questi tre aspetti sono riservati ad una classe specifica di persone che rimpiazza il vecchio ceto aristocratico dominante. Questa classe è stata definita come la borghesia capitalistica. Negli ultimi secoli essa è riuscita a controllare, se non addirittura monopolizzare:

- la proprietà privata dei mezzi di produzione (risorse naturali, industriali e finanziarie)
- la libera attività economica nell’ambito di determinate aree (gli stati nazionali)
- la ricerca del profitto, grazie a connessioni e privilegi (riservando agli altri la ricerca di un salario).

In sostanza, i sostenitori e i fruitori dell’ideologia capitalistica si sono appropriati di taluni aspetti universali della natura e dell'esperienza umana e li hanno riservati come campo di intervento e di godimento esclusivo per la loro classe. Ne consegue che, quando taluni vogliono la fine di questi privilegi, gli esponenti di questa classe insorgono. A costoro si applica molto bene quanto scritto da Bastiat: « … tutte le volte che noi non vogliamo che una cosa venga fatta dal Governo, se ne conclude che noi non vogliamo che quella cosa sia fatta del tutto.  Noi respingiamo l'istruzione gestita dallo Stato; allora non vogliamo l’istruzione. Noi respingiamo una religione di Stato; allora non vogliamo la religione. Noi respingiamo l'uguaglianza imposta dallo Stato; allora non vogliamo l'uguaglianza, e così via.  » (La legge, 1850)
E, parimenti, il voler superare la concentrazione in alcune mani della proprietà, della libertà economica e del profitto, equivale, per gli ideologi del capitalismo, nel voler abolire la proprietà, la libertà economica e il profitto tout court.
In sostanza, nulla di nuovo sotto il sole.

Il modo capitalistico di produzione
Se mettiamo da parte l’ideologia capitalistica che è fonte di parecchie mistificazioni, quello che caratterizza davvero il periodo storico originato dalla cosiddetta Rivoluzione Industriale è il modo di produzione capitalistico.
Adam Smith inizia il suo poderoso trattato sulla Ricchezza delle Nazioni proprio con una descrizione del nuovo modo capitalistico di produzione raffigurando l’organizzazione del lavoro in una fabbrica di spilli. Karl Marx ha concentrato tutta la sua analisi sul modo di produzione capitalistico, tratteggiando, nel primo volume del Capitale, il passaggio dalla Cooperazione alla Manifattura alla Grande Industria, espressioni produttive capitalistiche a cui corrispondono forme diverse di organizzazione del lavoro.

Gli aspetti che caratterizzano il modo di produzione capitalistico sono:
- l’impiego sempre più esteso delle macchine (il capitale fisso)
- la parcellizzazione dei compiti e la divisione sociale del lavoro (manuale/intellettuale)
- la nascita e diffusione dell’imprenditore proprietario dei mezzi di produzione e dei lavoratori dipendenti.

Dai tempi di Smith e Marx il modo di produzione ha subito continui e radicali cambiamenti al punto che, al giorno d’oggi, parlare ancora di modo capitalistico di produzione non ha più molto senso. Nel corso del XX secolo abbiamo infatti assistito ai seguenti fenomeni :

- sviluppo spinto della meccanizzazione (inizio del ‘900) e poi dell’automazione (metà del '900) e infine della robotica (fine del ‘900);
- maggiore attenzione data al lavoratore attraverso i nuovi metodi organizzativi delle "relazioni umane" e delle "risorse umane" per arrivare infine alla centralità assegnata al capitale umano;
- diffusione delle quote di proprietà delle imprese (società per azioni) fino all'emergere della figura dell’imprenditore di sé stesso e del gruppo cooperativo di imprenditori.

Nonostante ciò, sostenitori e avversari parlano ancora di capitalismo, come se nulla fosse cambiato. Essi, nel bene e nel male, attribuiscono una patente di eternità al modo di produzione al pari di quanto hanno fatto per l’ideologia capitalistica. La qual cosa è del tutto comprensibile perché è difficile abbandonare schemi interpretativi rassicuranti e familiari, anche quando essi non corrispondono più ad alcuna realtà, se prima non se ne sono inventati (o non si è a conoscenza) di nuovi, altrettanto semplici e attraenti.
Comprensibile ma né utile né accettabile.

È molto probabile però che, come è avvenuto per il termine capitalismo che si è affermato agli inizi del novecento quando l’ideologia e il modo di produzione si stava trasformando in qualcosa di diverso, così una nuova terminologia e un nuovo paradigma emergerà quando la realtà post-capitalistica che stiamo vivendo sarà giunta a piena maturazione.

Allora, quello che occorre fare è tenere le antenne conoscitive ben sintonizzate sul nuovo senza lasciarsi sviare e confondere dai rumori di sottofondo che sono come il fruscio di un vecchio disco, quando i sistemi di riproduzione sonora non erano ancora ben sviluppati.
Solo così, allorché un nuovo paradigma interpretativo emergerà in maniera chiara e inequivocabile, non solo non ci coglierà impreparati ma non ci provocherà né fastidio né sgomento.

 


 

Suggerimenti di lettura (sul modo di produzione capitalistico fin verso la metà del ‘900)

Karl Marx, Il Capitale, volume I, 1867

Frederick Winslow Taylor, Scientific Management, 1911

Henry Ford, My Life and Work, 1922

Elton Mayo, The Social Problems of an Industrial Civilization, 1945

Georges Friedmann, Problemi umani del macchinismo industriale, edizione originale 1946

Siegfried Giedion, Mechanization Takes Command, 1948

Charles R. Walker e Robert H. Guest, The Man on the Assembly-Line, 1952

Douglas McGregor, The Human Side of Enterprise, 1960

Rensis Likert, New Patterns of Management, 1961

Robert Blauner, Alienazione e libertà, edizione originale 1964

 

 


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