Gian Piero de Bellis

Imprenditori, inventori, lavoratori : i veri produttori

(Luglio 2013)

 


 

Una delle regole centrali nell'ambito della scienza è quella formulata da Guglielmo di Occam nel XIV secolo : entia non sunt multiplicanda prater necessitatem.
Detto in altre parole, la spiegazione-soluzione più semplice di un problema è da preferire rispetto ad un'altra che introduce più elementi del necessario.
Chiaramente, essere parsimoniosi nella messa in luce dei fattori in gioco, non vuole affatto dire che aspetti necessari per la spiegazione-soluzione possano essere tralasciati. Ad esempio, raggruppare elementi dissimili sotto una stessa denominazione costituirebbe una indebita semplificazione, tale da compromettere l’attività scientifica.
Perciò, a completamento della regola di Occam, andrebbe aggiunto che: entia sunt differentianda secundum necessitatem.
O, detto altrimenti, la spiegazione deve essere semplice ma non troppo semplice, al punto da ignorare talune distinzioni importanti.

Vediamo allora come tutto ciò sia rilevante per l'analisi di un tema come quello del capitalismo.
La lotta politica ed economica tra opposte fazioni sviluppatasi nel corso degli ultimi  secoli (ottocento e novecento) ha portato a talune semplificazioni come, ad esempio, la raffigurazione di un contrasto chiaro e netto tra capitalismo e socialismo. La Rivoluzione Industriale, che ha avuto luogo in Inghilterra a partire dalla metà del secolo XVIII, è stata vista come opera del capitalismo, mentre la Rivoluzione Russa del 1917 è stata presentata come opera del socialismo. Ma, se dietro il termine capitalismo mettiamo la parola “capitalisti” e dietro il termine “socialismo” mettiamo la parola “lavoratori” incominciamo a renderci conto che qualcosa non quadra. Infatti, anche dopo un esame superficiale, emerge chiaramente che non è vero che i capitalisti hanno fatto la Rivoluzione Industriale come non è vero che i lavoratori hanno fatto la Rivoluzione Russa.
Concentriamo ad esempio l’attenzione sul capitalismo e sull’industria alle origini.

La Rivoluzione Industriale è stata preceduta in Inghilterra da una Rivoluzione Agraria che ha moltiplicato la resa dei terreni attraverso l’introduzione di nuove tecniche produttive da parte di molti proprietari terrieri. Chiaramente, definire i proprietari terrieri come dei capitalisti sarebbe il modo più semplice per equiparare Rivoluzione Industriale e Capitalismo. Ma non sarebbe il modo migliore per chiarire le cose. Infatti proprietari terrieri ne sono sempre esistiti ma non tutti si sono preoccupati di sfruttare le loro proprietà in vista di un accrescimento della produzione (si veda ad esempio l’aristocrazia terriera francese che viveva a Corte tra ozi e sprechi). È necessario allora individuare un fattore centrale che interviene accanto al fatto di disporre di una risorsa-capitale come la terra. Questo fattore è la volontà e la capacità di agire come imprenditore.

La Rivoluzione Agraria, aumentando la produzione di alimenti, ha permesso
(a) un miglior soddisfacimento di bisogni nutrizionali e
(b) un incremento della popolazione (natalità).
Questi due aspetti sono anch’essi centrali nella dinamica dello sviluppo economico definito capitalistico. Ma, ancora una volta, pensare che il capitalista sia la figura di maggior rilievo in questo sviluppo significa passare sotto silenzio buona parte della realtà.
Infatti, se è vero che maggiori rese agricole apportano un profitto economico al proprietario terriero, è anche vero che questo profitto potrebbe essere utilizzato per una vita ancora più lussuriosa, tra battute di caccia e banchetti pantagruelici, invece di essere indirizzato a nuove intraprese economiche. E invece, in Inghilterra, a partire dalla metà del secolo XVIII, le nuove risorse sono state indirizzate proprio verso nuove attività economiche. E questo ad opera di tre figure sociali che sono gli elementi motori della Rivoluzione Industriale, ben più che il semplice capitalista. Esse sono:

  1. l’imprenditore industriale
  2. l’inventore industriale
  3. il lavoratore industriale.

In sostanza, quello che qui si vuole mettere in luce è il fatto che, nell’intero corso della storia sono esistite ricche persone che disponevano di risorse più o meno grandi (terre, edifici, mulini, attrezzi, etc.). E quel fenomeno conosciuto sotto il nome di industrializzazione (Rivoluzione Industriale) si è manifestato solo quando le risorse, controllate da ricchi individui o gruppi, sono state messe a disposizione delle tre figure sopra menzionate o colui che disponeva di queste risorse è diventato lui stesso una di quelle tre figure. Definire quindi quel periodo come l’età del capitalismo o dello sviluppo capitalistico è, a mio avviso, del tutto improprio. E questo per tre motivi principali:

  1. Si confonde il capitalista con l’imprenditore. L’economista Joseph Schumpeter ha messo particolarmente in luce il ruolo dell’imprenditore come figura determinante dello sviluppo economico e ha distinto nettamente tra capitalisti (coloro che forniscono il credito) e imprenditori (coloro che mettono in atto nuove combinazioni produttive). E sono questi ultimi i responsabili, in massima misura, della crescita e dello sviluppo economico. In qualsiasi storia della Rivoluzione Industriale, ad esempio, il nome di Richard Arkwright (di professione barbiere) campeggia a grandi lettere (vedi Paul Mantoux, La Révolution Industrielle au XVIII siècle, 1905). A lui viene accreditata, sembra a torto, l’invenzione della macchina per filare. Ma, più che inventore, Arkwright è stato un geniale imprenditore che, solo dopo notevoli difficoltà, è riuscito a trovare capitalisti (due ricchi mercanti) interessati a finanziare la sua attività industriale.  
  2. Si attribuisce al capitalista un ruolo eccessivamente importante nello sviluppo economico. Il capitalista, in quanto fornitore di credito, può apparire sotto diverse forme: come ricco individuo, come banca o anche come entità statale. Il finanziamento dell’industrializzazione in Germania è avvenuto principalmente attraverso il sistema bancario regolato dallo stato o attraverso finanziamenti effettuati direttamente dallo stato (ad es. la rete ferroviaria). In altri casi (vedi Corea del Sud e Singapore) banche, grandi imprese e stato hanno fornito i crediti necessari allo sviluppo dell’industria. Ma quello che va sottolineato in tutti questi casi è che, qualunque sia stata la fonte del finanziamento (il capitalista, la banca, lo stato) lo sviluppo stesso ha origine, in ogni caso, dall’attività di imprenditori e lavoratori che hanno saputo trasferire o generare sul posto nuove combinazioni produttive. L’attenzione focalizzata sul capitalista (a scapito, ad esempio, dell'imprenditore) è forse attribuibile al fatto che “gli imprenditori non formano una classe … come, ad esempio, i proprietari terrieri o i capitalisti o gli operai” (vedi Schumpeter); e, si potrebbe aggiungere, i capitalisti che controllano i mezzi di informazione, possono plasmare l’opinione pubblica mettendo l'accento sull’importanza del loro ruolo.
  3. Si dimentica il ruolo dell’inventore e si minimizza quello del lavoratore. Un ruolo importantissimo per l’avvio e lo sviluppo della Rivoluzione Industriale è dato dagli inventori piccoli e grandi. James Watt (colui che ha perfezionato la macchina a vapore) è una figura centrale nella storia della Rivoluzione Industriale, molto più importante del capitalista Matthew Bolton che si trovò, quasi per caso, a finanziare l’impiego della sua scoperta. Accanto a inventori di professione, abbiamo poi tutta una serie di miglioramenti effettuati sul lavoro ad opera degli stessi operai e tecnici dell’industria (vedi Sigfried Giedion, Mechanization Takes Command, 1948) che sono stati, con il loro lavoro e la loro inventiva, la macchina che ha realmente prodotto ed esteso la Rivoluzione Industriale nel corso dei decenni.

Parlare quindi di epoca del capitalismo o, quel che è peggio, vedere nel capitalismo un sistema economico eternamente valido basato sul libero scambio e sulla libera impresa, è qualcosa di storicamente errato. Il libero scambio e la libera impresa, oltre che essere concetti e realtà presenti in una certa misura in qualsiasi epoca storica (dai Fenici agli orologiai svizzeri) sono il prodotto di imprenditori, inventori, lavoratori a cui i possessori del capitale hanno solo dato il loro appoggio, fornendo risorse, in quanto tornava loro utile e profittevole. Questo appoggio è stato tolto tutte le volte che, nelle loro valutazioni di breve periodo, ciò non è apparso né utile né profittevole. Ad esempio, se fosse stato per i capitalisti (le banche), a seguito della crisi culminata agli inizi degli anni '80, l’industria svizzera degli orologi sarebbe stata venduta e smantellata pezzo per pezzo (edifici, marchi, macchinari, ecc). Invece un imprenditore (Nicolas Hayek) con l’aiuto di inventori e lavoratori è riuscito a rilanciarla attraverso nuove idee e nuove combinazioni produttive. Per questo il suo disprezzo per i capitalisti (in questo caso le banche) era viscerale.

Infine, la prova più chiara che lo sviluppo non è opera (se non indirettamente e secondariamente) di colui che fornisce il credito, è il fatto che, laddove lo stato ha agito non solo come capitalista ma anche come imprenditore e inventore (l’Unione Sovietica) accentrando su di sé il controllo totale dell’economia, lo sviluppo non ha avuto luogo nonostante i capitali investiti. Infatti, il problema dell’assenza di sviluppo nel socialismo o capitalismo di stato non è dovuto alla carenza di capitali ma alla mancanza di
(a) imprenditori liberi, non soffocati dalla pianificazione burocratica;
(b) inventori liberi, non bloccati dal conformismo ideologico;
(c) lavoratori liberi ad alta produttività e non masse irreggimentate ad alto sfruttamento.

Quindi, quando si pensa allo sviluppo economico e a tutto quello che ha generato in termini di benessere materiale, le tre figure dell’imprenditore, dell’inventore e del lavoratore, dovrebbero venire subito alla mente. Il capitalista, a meno che non svolga uno o più di questi ruoli, ha assolto e assolve una funzione abbastanza secondaria e, in futuro, sempre meno necessaria.

In sostanza, non abbiamo bisogno di capitalismo ma di imprenditoria, inventiva e capacità-volontà lavorativa, aspetti che è fuorviante oltre che ridicolo catalogare sotto il termine capitalismo. Come se le idee geniali e la voglia di fare avessero bisogno di un vocabolo qualificativo per dare loro un significato e un valore che invece hanno già, di per sé, da che esiste il mondo.

 

 


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