Gian Piero de Bellis

L'individuo-atomo e la società-massa

(Giugno 2013)

 


 

Nel 1968 il biologo Garrett Hardin scrisse un saggio, The Tragedy of the Commons, che ha avuto un enorme successo e diffusione nel corso degli anni.
Più che di un saggio scientifico dovremmo in realtà parlare di una favoletta o, ad essere abbastanza indulgenti, di una ipotesi che avrebbe dovuto essere testata nella realtà storica, del passato e del presente, per comprovarla o rigettarla. Invece fu accolta entusiasticamente da moltissimi “intellettuali” e commentatori politici, pur con visioni sociali contrapposte.

Come mai questa adesione generalizzata? Una spiegazione convincente può essere fornita da un altro caso di diffusa accettazione. Facciamo riferimento alle enunciazioni economiche di John Maynard Keynes. Come giustamente rilevato da Joseph Schumpeter: "Il successo di gran lunga superiore della Teoria Generale di Keynes [rispetto al testo di Hayek del 1931 intitolato "Prices and Production"] ... è dovuto ... al fatto che le argomentazioni del primo portavano ad attuare alcune delle preferenze politiche più forti condivise da una larga schiera di economisti moderni." (Joseph A. Schumpeter, History of Economic Analysis, 1954)

Esattamente lo stesso può dirsi dello scritto-favoletta di Garrett Hardin. Per chiarire ciò vediamo allora di illustrare (a) quale tesi è sostenuta nello scritto (b) perché tale tesi può essere considerata una invenzione favolistica e non la rappresentazione di una realtà storica e (c) perché, nonostante ciò, essa abbia riscosso un tale successo e una tale adesione fino ai giorni nostri.

(a) La tesi avanzata
Secondo Garrett Hardin, uno spazio aperto a tutti verrà utilizzato da ogni singola persona in vista della massimizzazione del suo interesse economico. Ma, così facendo, nel medio-lungo periodo il bene comune (lo spazio aperto o commons) si esaurirà a causa dell'eccessivo sfruttamento da parte dei singoli, contribuendo alla rovina di tutti.

(b) La tesi infondata
In passato i commons (terre comuni) costituivano una larga parte del territorio. Le persone vivevano soprattutto di prodotti agricoli e dell'allevamento e quindi uno sfruttamento massimo da parte di ognuno avrebbe dovuto essere la regola. Eppure questo non è stato il caso, non per via di una scarsa popolazione, ma per il fatto che l'utilizzo delle terre comuni era altamente regolato dalla comunità e gli individui non potevano sfruttare i commons a loro piacimento, come vorrebbe farci credere il signor Hardin.

(c) La tesi utilizzata
Coloro che hanno accolto con favore la favoletta di Hardin lo hanno fatto perché in essa hanno trovato giustificazioni a sostegno delle loro rispettive posizioni politico-sociali.
Infatti, per evitare la cosiddetta tragedia delle terre comuni, Hardin è a favore:

  • della proprietà privata della terra (“una alternativa ai commons … è l'istituzione della proprietà privata e del diritto di eredità”);
  • della legislazione e della tassazione statale (“la tragedia dei commons … deve essere evitata attraverso leggi coercitive o strumenti di natura fiscale”).

In sostanza, con la sua tesi e le sue proposte Hardin accontenta sia i sostenitori della proprietà “privata” generalizzata che i fautori decisi dell'intervento statale “pubblico”, offrendo giustificazioni “scientifiche” alle loro posizioni economico-politiche.

Il fatto è che la tesi di Hardin non è affatto scientifica in quanto non si basa su una ipotesi sottoposta poi al vaglio di una precisa realtà empirica che la confermi o la falsifichi. La tesi di Hardin è posta come un dato di fatto irrefutabile.
La critica che è necessario fare alle tesi di Hardin è che egli stravolge, ignorandola, la realtà storica dei commons, e, per fare ciò, egli tralascia, volutamente o per ignoranza, tutta una serie di realtà sociali comunitarie che pure erano di tutto rilievo nei secoli passati.
In sostanza, quello che rende la tesi plausibile ma del tutto irreale (anti-storica) è l'avere ignorato che al tempo dei commons, esistevano realtà sociali quali le comunità rurali, le associazioni di mestieri, le confraternite e altre associazioni, che disciplinavano l'uso del territorio.

È vero che la Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Industriale hanno distrutto o messo da parte queste realtà, trasformando i commons in proprietà privata e imponendo lo stato nazionale. Ma è proprio in quel momento, con la fine dei commons, che sorgono i problemi di sfruttamento paventati da Hardin.
Un esempio per tutti. Il viaggiatore e scrittore inglese Norman Douglas, deprecando la distruzione delle aree boschive in Calabria attuata dallo stato italiano, scriveva che la foresta vergine del Gariglione “ è stata venduta per 350.000 franchi ad una società tedesca; il suo silenzio antico è adesso invaso da un esercito di 260 uomini che stanno abbattendo gli alberi il più rapidamente possibile.” (Norman Douglas, Old Calabria, 1915).
E al giorno d'oggi (Maggio 2013) le persone sono scese in strada ad Istanbul per protestare contro la distruzione di un parco pubblico (i commons) da parte dello stato in combutta con affaristi privati, il tutto per fare posto all'ennesimo centro commerciale in una zona già pullulante di negozi.

La Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Industriale, anche se hanno dato un impulso al processo di emancipazione umana, hanno però generato come guasto sociale la distruzione di tutti i corpi sociali intermedi che garantivano la protezione dei commons. Il risultato è stato la sopravvivenza di due sole entità : l'individuo-atomo e la società-massa. Queste due entità sono alla base dell'affermarsi, nel corso del 19° e 20° secolo della super-entità che tutto domina e che va sotto il nome di stato nazionale nelle sue varie forme (fascismo, comunismo, democrazia totalitaria, socialdemocrazia paternalistica).

Hardin passa sotto silenzio tutto ciò e lo fa in maniera “scientificamente” disonesta per cui è giustificato affermare che la tesi della “tragedia dei commons” è in realtà, una gigantesca tragedia di ignoranza del passato e di subdola difesa di interessi padronali nel presente. Attraverso tale tesi infatti si esprime e si sostiene quella concezione, nota sotto il nome di statismo, in cui gli esseri umani sono visti come atomi isolati che formano una massa omogenea che lo stato poi si incarica di disciplinare e regolare.

La riproposizione, di tanto in tanto, di questo saggio-favoletta, mostra che molti sono ancora intrappolati all'interno del paradigma concettuale dello statismo.
Ma qualcosa è iniziato a muoversi e a sconvolgere l'accattivante-fuorviante tesi di Hardin.
Nel 2009 Elinor Ostrom ha ricevuto il premio Nobel per l'economia per “la sua analisi della regolamentazione (governance) economica, specialmente per quanto riguarda i commons”. Come da lei sostenuto in un suo scritto “le comunità di individui hanno contato su istituzioni che non assomigliano né allo stato né al mercato per gestire alcuni sistemi di risorse con ragionevoli livelli di successo per lunghi periodi di tempo.” (Governing the Commons, 1990).
Commentando l'assegnazione di questo premio Nobel, John Tierney ha scritto per il New York Times un articolo dal titolo altamente significativo, The Non-Tragedy of the Commons, in cui smantellava lo scritto di Hardin definendolo, per l'appunto, una favola.

Altri come Robert C. Ellickson nel suo Order without Law. How Neighbors Settle Disputes (1991) hanno studiato la dinamica di come le persone si autogovernino attraverso l'introduzione di regole informali, senza la presenza di un organismo centrale incaricato di legiferare in maniera autoritaria. Queste norme sociali generate dai diretti interessati permettono di risolvere dispute che riguardano risorse utilizzate in comune (ad es. terreni aperti per il pascolo).

Tutto ciò fa parte della riscoperta di quell'ordine spontaneo che emerge dai rapporti sociali che si instaurano in maniera volontaria tra gli individui e che porta alla formazione di comunità volontarie sulla base di interessi comuni di varia natura (culturale, affettiva, di comunicazione, di produzione, di consumo, ecc.). Questo ordine spontaneo non è possibile fino a quando continueremo a costruirci contrapposizioni fittizie tutte centrate sulle due figure dell'individuo-atomo e della società-massa. Perché, così facendo, avremo sempre bisogno di Padroni “privati” e del Grande Fratello “pubblico” che ci illuminino e ci guidino, come bambini ignoranti e irrequieti che non possono fare a meno di favole idiote e di cantastorie armati di bastoni.

 


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