Gian Piero de Bellis

Dal capitalismo al prosumerismo

(Ottobre 2014)

 


 

Nel discorso scientifico si fa una distinzione tra causazione (un fenomeno è la causa di un altro) e correlazione (un fenomeno è associato ad un altro).
Nel caso della correlazione, due fenomeni possono essere:
(a) co-presenti nel tempo
(b) similari nella forma operativa
(c) di reciproco sostegno.

Questo mi sembra essere il caso del capitalismo e dello statismo.
Il capitalismo moderno è correlato allo statismo nel senso che è temporalmente associato all’emergere degli stati nazionali e di uno spazio economico a base nazionale. Inoltre esso ha una serie di forme operative e di reciproco sostegno comuni con lo statismo al punto da poter essere, per molti versi, qualificato come la forma economica dello statismo.
Esaminiamo tali forme in maniera sintetica.

La divisione del lavoro (tecnica - sociale)
Se identifichiamo il capitalismo moderno con la nascita dell’industria e lo sviluppo della produzione su ampia scala, la divisione tecnica del lavoro (la parcellizzazione delle mansioni produttive) ne rappresenta un fattore estremamente importante, come indicato da Adam Smith nella sua famosa descrizione della fabbrica di spilli. A ciò si associa la divisione sociale del lavoro (ad es. tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra mestieri e professioni diverse) in diretta relazione non solo con l’ampliamento dei bisogni e degli scambi ma anche con l'ampliamento della sfera parassitaria (persone non soggette alla produzione di beni e servizi richiesti).
Tutto ciò ha trovato un equivalente nell’organizzazione statale che ha parcellizzato il lavoro burocratico e le attività sociali, ha distribuito il tutto tra settori e professioni diversi, fino alla creazione di una gigantesca macchina amministrativa e di vita sociale, basata su regole e controlli.

Il lavoro dipendente (operai-sudditi)
Al posto dell’artigiano, del commerciante e del piccolo agricoltore, il capitalismo ha posto il lavoratore dipendente che opera al servizio di un padrone (imprenditore).
Lo stesso è avvenuto sotto lo statismo, dove gli abitanti delle agglomerazioni urbane e degli spazi rurali sono diventati tutti sudditi dipendenti da un centro di potere a base nazionale.

Le grandi dimensioni (gigantismo)
Le prime manifatture si sono trasformate ben presto, in parecchi casi, in grandi imprese capitalistiche e talune successivamente in gigantesche corporazioni. Non tutta la realtà economica è basata su grandi imprese ma esse hanno rappresentato lo spirito economico dei tempi, allo stesso modo in cui i grandi stati ne hanno rappresentato lo spirito politico. Piccoli stati continuano a esistere ma essi sono spesso o subordinati o associati (aree di influenza) alle grandi potenze. In sostanza, nell’epoca del capitalismo e dello statismo il gigantismo si è manifestato come una concentrazione del potere economico e una centralizzazione del potere politico.

La crescita (economica-territoriale)
L’obiettivo costante delle grandi imprese e delle grandi potenze è di crescere incessantemente a spese di altre imprese e di altri poteri. Per questo i capitalisti nazionali hanno lottato per prevalere su imprese di altri stati, in vista dell’allargamento del mercato e dei profitti, godendo di favori e interventi dei governanti del proprio stato. Per gli stati la crescita ha significato diventare non solo una potenza economica (attraverso la protezione accordata alle imprese nazionali) ma anche una potenza territoriale (imperialismo).
In tempi più recenti, i capitalisti e i governanti statali, finite le avventure imperialiste e inseriti in ambiti sovranazionali, hanno fatto fronte comune per una crescita continua della massa monetaria e dei consumi, perché da ciò dipendono i loro profitti (speculazioni finanziarie, assorbimento della produzione) e le loro entrate (tassazione sui consumi).

Il connubio (economia-politica)
I grandi capitalisti e i grandi stati sono sorti e continuano ad esistere sulla base dell'esistenza di
- insicurezze e squilibri (paure, crisi, sprechi, ecc.)
- vincoli e controlli (registrazioni, brevetti, barriere doganali, albi professionali, ecc.)
che complicano e scombussolano la vita dei piccoli produttori e dei cittadini.
In periodo di crisi è assai raro o molto improbabile che un grande capitalista o uomo politico si tolga la vita perché oberato da debiti o per problemi di coscienza. Le entità di cui essi sono a capo sono too big to fail. È invece pratica ricorrente il fatto che i governanti statali e i capitalisti si aiutino a vicenda per restare a galla e uscire indenni da qualsiasi turbolenza.

Pur con tutti questi aspetti problematici, per non dire ampiamente negativi, il capitalismo e lo statismo, fenomeni temporalmente congiunti e operativamente associati, hanno rappresentato un passo in avanti rispetto al mercantilismo e al feudalesimo di epoche precedenti. Va però aggiunto che, nella fase attuale di sviluppo tecnologico e culturale, sia il capitalismo che lo statismo rappresentano due zavorre, cioè due forme ampiamente obsolete di organizzazione economica e politica. Adesso siamo incamminati verso un mondo che, nelle sue realtà più avanzate, è caratterizzato da tendenze economiche e sociali che porteranno al superamento del capitalismo e dello statismo. Esse sono:

La riduzione progressiva della divisione del lavoro
Il lavoratore parcellizzato è stato rimpiazzato da congegni automatici e da robots. Per fare solo un esempio, le diciotto distinte operazioni della fabbrica di spilli dei tempi di Adam Smith sono state da tempo integrate in una macchina automatica che può produrre da 220 a 450 spilli o chiodi al minuto.
Anche la divisione sociale del lavoro va progressivamente a ridursi con la combinazione tra manualità e intellettualità (ad esempio la scomparsa negli uffici di alcune figure come le dattilografe), la fine di ruoli rigidi e l’emergere di prestazioni che sono svolte da individui non come lavori a tempo pieno ma come attività parallele. Si veda ad esempio, il trasporto persone (Uber, Blablacar); l'affitto di appartamenti e stanze (Airbnb); le piccole riparazioni (Marito in affitto o Fai da te).

Il passaggio dal lavoro dipendente alle attività personali
Il lavoro dipendente in cui l’essere umano esegue ordini precisi e compie atti prefissati esiste solo in situazioni sempre più rare che potrebbero in futuro scomparire. Queste situazioni lavorative sono state rimpiazzate dall’impiego di congegni automatici o dalla prestazione dello stesso fruitore di un servizio (ad es. casse automatiche al posto dei cassieri in una banca o in un supermercato). Il mondo del futuro sarà probabilmente fatto di attività personali (individuali o di gruppo), di lavori a tempo, su progetto, di collaborazioni, di autoproduzioni, e via di questo passo. Il grande capitano d’industria che, come un generale, dominava su masse enormi di lavoratori dipendenti, è sempre più una realtà del passato.

Dalle grandi dimensioni alle dimensioni flessibili
Le grandi imprese non sono affatto scomparse ma (a) si è notevolmente ridotto il numero di lavoratori impiegati (rimpiazzati da congegni automatici e robots) (b) sono state appaltate all’esterno molte lavorazioni (c) sono state affidate a imprese individuali la commercializzazione dei prodotti (franchising). In un mondo in cui la tecnologia cambia rapidamente, le grandi dimensioni sono, assai spesso, un fattore disfunzionale; per questo le grandi imprese sono spesso sostituite da start-up che, se avranno un grande successo e diventeranno grandi, saranno poi, probabilmente, a loro volta rimpiazzate da altre imprese emergenti, promosse da persone con idee ancora più innovative. È prevedibile una diffusione della micro-imprenditoria sulla base di congegni, di piccole dimensioni e di costo ridotto, che permettono l’autoproduzione da parte dei cosiddetti makers (vedi: maker culture), vale a dire di quasi tutti. Una sorta di desktop production.

Dalla crescita materiale allo sviluppo individuale
La crescita della produzione e dei consumi, necessaria quando si tratta di nuove produzioni utili e di bisogni non soddisfatti, diventa follia quando si traduce in sprechi (obsolescenza programmata, distruzione di merci, ecc.) e anche in malattie fisiche e mentali (obesità, uso di farmaci, ecc.). Purtroppo, per lo stato e i capitalisti il consumismo è una necessità assoluta per collocare la produzione e per godere dei ricavi della tassazione. Per questo hanno introdotto, di comune accordo, l'assistenzialismo e la stampa di denaro e sono interessati a plasmare esseri umani che siano interessati a consumare (comprare dai padroni) e inclini a votare (eleggere i padroni).

Dal Grande Padrone - Grande Fratello agli individui liberi e alle comunità volontarie
Le insicurezze e i vincoli creati ad arte dal potere (economico e politico) non potranno durare in una situazione in cui gli esseri umani diventano capaci di padroneggiare le tecnologie (della produzione, della comunicazione, dello scambio) e si pongono in relazioni dirette tra di loro, senza inutili intermediazioni e sovrastrutture.

In sostanza, andare oltre lo statismo vuol dire anche andare oltre il capitalismo perché queste sono le due facce di una stessa medaglia. Chiaramente si fa qui riferimento allo statismo e al capitalismo quali esistono nella realtà, e non alle versioni fantasiose ed edulcorate che i loro sostenitori vogliono far passare come dati di fatto o auspicabili possibilità.

Il capitalismo e lo statismo sono fenomeni economici e politici propri delle società caratterizzate dall'apparire sulla scena delle masse: masse di produttori, di consumatori (di beni materiali e di notizie) e di elettori. Adesso, con l'apparire di strumenti tecnologici che conferiscono alle persone un enorme potere, ci stiamo muovendo (più o meno velocemente a seconda dei casi) verso società di individui.
Questo passaggio rappresenta la fine di fenomeni storici (economici e politici) come il capitalismo e lo statismo.

È sempre stato così. Forme economiche e politiche non sono eterne. Produttori e commercianti (più o meno liberi) sono sempre esistiti. Qualificare la produzione e il commercio come espressione del capitalismo non ha senso. Il capitalismo è stato solo una delle forme in cui produzione e commercio si sono espressi. Ma non è la prima e non sarà l’ultima.

Perché tutto ciò diventi consapevolezza diffusa, abbiamo forse bisogno di un termine che definisca il nuovo fenomeno. In passato Adam Smith ha qualificato l’epoca economica a lui precedente come mercantilismo e, successivamente, Werner Sombart ha fatto lo stesso per il periodo a lui vicino utilizzando e diffondendo il termine capitalismo. Propongo di utilizzare, per qualificare la nuova forma economica, il neologismo prosumerismo, dalla parola prosumer (contrazione di producer e consumer) introdotta da Alvin Toffler negli anni ’80 nel suo libro The Third Wave.

Il futuro sarà probabilmente caratterizzato da figure di produttori-consumatori che soddisferanno i loro bisogni unendosi ad altri produttori-consumatori o attraverso un impegno in prima persona (makers) o attraverso un finanziamento diretto (crowdfunding) di progetti a cui sono interessati.
A quel punto anche lo stato, che ha rimpiazzato il padrone feudale, sarà a sua volta relegato nel museo delle antichità e sostituito da agenzie scelte liberamente (come fornitrici di servizi) e da comunità volontarie.
E la storia continua.

 


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