Gian Piero de Bellis

Per la Piena Disoccupazione

(Marzo 2017)

 


 

Nei secoli passati e lungo buona parte del corso della storia le persone, per sorte, imposizione o scelta personale, hanno svolto due ruoli principali in termini di lavoro:
- schiavi (antichità e colonie dell’era moderna) o servi (medioevo feudale);
- contadini, artigiani e commercianti liberi (antichità ed epoca medioevale e moderna).

Questa situazione si è trasformata con la nascita della manifattura e poi dell’industria a partire dal XVIII secolo. Preceduta in Inghilterra dalla Rivoluzione Agricola con la recinzione delle terre comuni e l’esproprio delle proprietà della Chiesa, la Rivoluzione Industriale ha portato alla formazione di una massa di lavoratori che dipendevano da un padrone, proprietario degli strumenti di produzione.

Con il sorgere di questa schiera enorme di lavoratori dipendenti si poneva il problema, per evitare ribellioni e rivoluzioni, di assicurare che le persone avessero una occupazione che garantisse un reddito sufficiente a mantenere in vita sé stessi e la loro famiglia. Questo era l’obiettivo sia dei padroni economici, che avevano bisogno di una manodopera sufficientemente in forze per poter resistere a una lunga e spesso faticosa giornata lavorativa, sia dei padroni politici che volevano assicurata la pace sociale.

A partire dall’ottocento, nel corso degli anni, una serie di interventi da parte dei maggiori attori sociali (stato, sindacati, partiti, imprenditori) hanno permesso aggiustamenti socio-economici continui volti a mantenere in vita e consolidare sempre più il modello basato sull’imprenditore che dirige la produzione e il lavoratore dipendente che produce merci. Con l’avvento del gigantismo industriale, una piccolissima minoranza ha assunto compiti direttivi a livello generale e una grandissima maggioranza si è trovata assegnata compiti di lavoro esecutivo dipendente.

Lo sviluppo della tecnologia e l’incremento notevole della produttività del lavoro, attraverso l’introduzione di macchinari sempre più performanti, ha messo continuamente in pericolo la possibilità di garantire a tutti un lavoro dipendente produttivo e un conseguente reddito.
La depressione del ’29 è stata in buona parte la conseguenza dello squilibrio tra una massa enorme e crescente di beni prodotti e una ridotta possibilità di assorbimento degli stessi a causa di bassi salari e di vincoli al commercio internazionale. Il decennio del grande crollo della borsa americana iniziò con le tariffe protezioniste del decreto Fordney (1922) e si concluse con una ulteriore crescita delle barriere doganali con le disposizioni tariffarie Hawley-Smoott (1930). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, scoppiata tra stati nazionali in lotta per il predominio politico ed economico in Europa, solo un incremento massiccio delle spese militari e di assistenza sociale (warfare-welfare) hanno garantito uno sbocco alla produzione.

Far indossare una divisa o inviare a casa un assegno di sussistenza non sono state le sole misure prese dai padroni politici ed economici per mantenere in vita un sistema a loro congegnale. L’aspettativa che una persona debba avere un impiego retribuito, perché solo così si sente realizzata e serena, è stata talmente introiettata nel cervello delle persone da diventare un diritto. Per soddisfarlo, solo la creazione di impieghi su vasta scala poteva costituire una risposta valida ed accettabile per le masse. L’obiettivo di garantire la piena occupazione è diventato quindi il mantra di tutte le forze sociali di qualsiasi tendenza. E, per di più, l’occupazione doveva essere a tempo pieno, per non sentirsi sminuiti in famiglia e nella società.

Il mito della piena occupazione e quello della necessità imperativa di una crescita economica continua (incremento del Prodotto Interno Lordo anno dopo anno) costituiscono ancora oggi il paradigma economico e culturale dominante, sostenuto e propagandato da uomini politici, sindacalisti, giornalisti, e dalla maggior parte degli intellettuali, e assorbito dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Un paradigma del tutto assurdo che sta esplodendo davanti ai nostri occhi.

Infatti, l’introduzione nei decenni passati di macchinari automatici (automazione) e attualmente di robot produttivi (robotica) sta eliminando sempre più la necessità che molti compiti siano svolti da lavoratori (manuali o intellettuali) in carne ed ossa.

Lo sviluppo della robotica negli anni a venire dovrebbe distruggere completamente l’idea, promossa e sostenuta da tutto l’apparato statale-sindacale-padronale:

- dell’occupazione intesa come posto di lavoro dipendente;
- del lavoro che occupa buona parte della giornata e della vita delle persone.

Tali credenze, a ben vedere, non sono state confezionate dal ceto padronal-intellettuale per valorizzare i lavoratori produttivi e il loro ruolo nella società. Infatti, il lavoro che si promuove e si vuole diffondere è, in moltissimi casi:

- il lavoro altrui. La costituzione italiana pone il lavoro come base fondante della repubblica, ma ciò è solo una formula di rito per far contente le masse credulone. Si tratta, in sostanza, di una presa in giro (il lavoro nobilita) che però sembra non fare più presa.
- il lavoro inutile. A seguito della meccanizzazione, automazione e robotizzazione che in un crescendo hanno rimpiazzato sempre più i lavoratori, incrementando la produttività, sono stati inventati lavori del tutto inutili (timbrare e passare carte, scavare e riempire buche) che nulla hanno né di nobile né di sensato e che servono solo per tenere la gente buona e zitta.
- il lavoro nefasto. Pur di garantire occupazione i sindacati operai da una parte e quelli padronali dall’altra hanno accettato e promosso anche la moltiplicazione di lavori del tutto nefasti quali la produzione di armi, il controllo poliziesco delle persone, la burocratizzazione della società e la finanziarizzazione dell’economia.

In presenza di questa situazione va ricordato che, non solo il massimo esponente del pensiero socialista, Karl Marx, indicava nella riduzione massiccia delle ore di lavoro e nella fine del lavoro sotto padrone la strada verso il futuro, ma che anche il liberale Keynes, colui che suggeriva di scavare buche-rienpire buche per dare lavoro alle persone, anche lui immaginava un futuro prossimo in cui « il lavoro che ci sarà ancora da fare sarà distribuito quanto più possibile tra tutti. Tre ore di lavoro al giorno o quindici ore alla settimana risolveranno i problemi di mantenimento economico per un lungo periodo di tempo. » (Economic Possibilities for our Grandchildren, 1930)

Perché ciò diventi realtà, cioè che il lavoro non occupi più gran parte della vita delle persone, occorre che perdano credibilità tre figure che sono come i rimasugli di un lontano passato:

- i nuovi luddisti: coloro che sono terrorizzati dalla fine del lavoro a seguito della robotizzazione della produzione. Se costoro avessero prevalso nel corso dei secoli saremmo ancora con la falce nei lavori campestri e con il martello nelle botteghe artigiane; se non addirittura a vivere nelle caverne e a cacciare nei boschi con pietre e freccette di legno appuntite.
- i nuovi materialisti: coloro che sono ossessionati dal funzionamento dell'economia nella sua forma presente. Per costoro l’essere umano non è altro che una bestia da soma (lavoro) e un maiale da ingrasso (consumo). In sostanza, alienazione e obesità come mete esistenziali principali dell’essere umano.
- i nuovi schiavisti: coloro che esaltano il lavoro, dipendente, a tempo pieno, sicuro e permanente. Per costoro l’essere umano è nato per lavorare e senza il lavoro la vita non avrebbe alcun significato. Non per nulla all’ingresso dei campi di concentramento nazisti era stata messa la scritta: Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi).

A tutti questi un messaggio va inviato chiaro e netto, per ribadire una posizione che sempre più dovrà farsi strada e che si può condensare nell’espressione:


Per la Piena Disoccupazione


Chiaramente piena disoccupazione non significa affatto inattività. Tutt’altro.
Piena disoccupazione vuol dire che si è favorevoli a una tendenza progressiva verso la:

- fine del lavoro dipendente (moralmente opprimente)
- fine del lavoro ripetitivo (mentalmente alienante)
- fine del lavoro spossante (fisicamente usurante)

Significa fine dei lavori inutili e nefasti che distruggono risorse e non apportano alcun beneficio reale alle persone

Significa inoltre fine dei controlli, dei vincoli, delle licenze a svolgere una attività (produrre e vendere beni e servizi alle persone) che rappresentano una piaga e un blocco alla imprenditoria diffusa e alla liberazione dalla dipendenza.

La tecnologia rende possibile tutto ciò (uber, airbnb, e-bay, ecc.) in quanto si sono ridotti enormemente i:

- costi di produzione (ad es. stampanti 3d)
- costi di commercializzazione (negozi virtuali)
- costi di informazione (siti web e social networks)

Quello che occorre è uno slancio morale e culturale che metta da parte i feudatari statal-padronali e i loro sostenitori, che difendono il proprio orticello costruito attraverso privilegi e barriere all’accesso.

Un futuro di PIENA DISOCCUPAZIONE significa quindi la possibilità per tutti di accedere e sviluppare attività:

- appaganti (in termini di ricavi materiali e di soddisfazioni morali e culturali)
- interessanti (in termini di realizzazione della personalità di ciascun individuo)
- importanti (in termini di benessere dei singoli e delle comunità).

E allora l’obiettivo della piena disoccupazione (o abolizione del lavoro) ci apparirà perfettamente sensato e necessario al pari di quello, in passato, della abolizione della schiavitù.
Occorre però togliersi dal viso il paraocchi, far prendere aria al cervello e ricaricarsi di entusiasmo e di voglia di fare.
Il futuro è già qui.

 


 

Suggerimenti di esplorazione

(1983) VV. AA., Why Work? Arguments for the Leisure Society, Freedom Press, London

(1985) Bob Black, The Abolition of Work

(1988) Shoshana Zuboff, In the Age of the Smart Machine, Heinemann, London

(1990) Alvin Toffler, Powershift, Bantam Books, New York

(1995) Jeremy Rifkin, The End of Work, Putnam’s Sons, New York

(2012) Miura Atsushi, The Rise of Sharing, International House of Japan, 2014

(2015) Jeremy Rifkin, The Zero Marginal Cost Society, Macmillan, New York

Twitter: Human vs Machine - https://twitter.com/HumanVsMachine

Wikipedia : Robotics - https://en.wikipedia.org/wiki/Robotics

Robotics Online - http://www.robotics.org/

 


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